“Le forme sconosciute di Luisa Elia”
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La scultrice Luisa Elia nel suo studio a Milano Ph Annalisa Guidetti, Giovanni Ricci © |
(Critica del Giudizio, paragrafo 23) Kant
La maggior parte dei critici e di coloro che hanno scritto sul lavoro della scultrice Luisa Elia si esprimono con descrizioni e riferimenti agli archetipi mitologici, ai modelli formali di culture arcaiche ed alle forme naturali, organiche: fossili, minerali, conchiglie, modellati dal tempo e dai fenomeni atmosferici. In realtà, non si tratta di un’operazione di recupero o riciclo, poiché, è l’artista stessa che inventa e crea le sue nuove ed inedite forme assemblando, modellando, scavando diversi materiali, che si sono alternati nella sua particolare ricerca espressiva e formale.
I riferimenti e le citazioni più immediati sono alla potenza cromatica di Anish Kapoor, alla libertà espressiva di Lucio Fontana, all’invenzione ludica di Pino Pascali, alla sinuosa armonia di Jean Arp, perfino al lirismo poetico di Marisa Merz e alla narrazione ambientale ed ironica di alcuni lavori di Rebecca Horn. Ma e’ al modo di tormentare ed addomesticare la materia, rendendola duttile ed espressiva, di Medardo Rosso, che il lavoro di Luisa Elia inevitabilmente ritorna, con quel senso di indeterminato ed incompiuto michelangiolesco, di work in progress, che caratterizza il modo di fare arte per chi sceglie, nel presente, di essere scultore.
E’ al costante mistero, alla continua rivelazione e all’euforica sorpresa che fin dall’inizio, Luisa Elia, ha abituato e tenuto sospeso l’interlocutore. A partire dalle sue micro strutture geometriche costruite nel vuoto o quelle più informali in argilla refrattaria, susseguite da forme più naturali ed astratte in materiali come la iuta, il sale, la gomma, la terra, la sabbia e la carta.