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Gianni
Barbacetto
illustrazione
di Stefano Delli Veneri
per
il libro "Andrea negli anni '80"
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Oggi
StorierReali vi propone un'altra anteprima del libro di Miki Solbiati
e Duccio Locati "Andrea negli anni '80".
Gli
anni Ottanta sono raccontati, questa volta, dal giornalista e
scittore Gianni Barbacetto.
Gli
anni Ottanta? Il “riflusso” dopo i decenni dell’impegno sociale
e politico, in cui un movimento di milioni di ragazzi, in Europa e in America, ha sognato,
sperato e creduto
di cambiare il mondo. Il ripiegamento nel privato dopo una
straordinaria, irripetibile
stagione di vita collettiva, in cui si sono rivoluzionati la cultura,
la musica, i
rapporti sociali, è cambiato il modo di vivere i rapporti con
l’autorità, i genitori, il sesso,
la musica, la moda.
Milano,
poi: negli Ottanta è la “Milano da bere”, quella del ritorno
alla ricerca del successo individuale, della carriera, dei soldi, dopo la grande ubriacatura
dei Settanta, in
cui prevaleva la spinta collettiva (un’ illusione?) che sperava di
cambiare la storia. La
“Milano da bere” è quella dei manager rampanti, serate a Brera e
ristoranti alla rucola,
che diventano presto i protagonisti di Tangentopoli. Affari e
politica, sorrisi e mazzette,
successo e corruzione.
Cambia,
la città. Anche visivamente. Più luci e meno nebbia, più soldi e
più sorrisi.
Basta
con gli anni di piombo, con gli scontri e la violenza. Business e
vita notturna.
Si
esce, la notte, ci si diverte.
Luci
e ombre, in un passaggio di fase che è difficile descrivere senza
cadere nei luoghi
comuni. Comunque i Sessanta, e soprattutto i Settanta, erano anni in
cui si viveva
in pubblico. Ci si sentiva parte di un collettivo. Dentro un fiume
che travolgeva
le convenzioni e le istituzioni, rivoluzionava la scuola,
l’università, la fabbrica,
i quartieri, la cultura, le case editrici, i partiti, la politica, la
famiglia, perfino la
chiesa.
Parola magica: “movimento”. Una forza collettiva che trascinava e macinava
i relitti del passato e cambiava la vita. Si prendeva la parola:
basta stare zitti:
ciascuno poteva dire la sua, in pubblico, in classe, in assemblea,
all’università, in
fabbrica,
nel collettivo, in famiglia, in manicomio, sotto la naja, in chiesa…
Poi
l’ideologia trionfa, la violenza prende la mano, il cambiamento si
perde in vicoli chiusi
che puzzano di sopraffazione e lotta armata. Il “movimento” si
smarrisce in vecchi
riti (parate
da Terza Internazionale ma, peggio, “novità” da Partito armato).
Segue
riflusso, meglio le rose che non il pane, celebriamo il privato (che
tanto è politico).
Gli
Ottanta arrivano così: l’edonismo reaganiano, il ripiegamento nel
privato, dopo l’ubriacatura
collettiva. Meglio la discoteca che il collettivo.
Una
sconfitta, dunque. L’inverno ha disperso la risposta che era
soffiata nel vento.
Cambia
la città: apparentemente è meno cupa, più allegra, a colori.
Eppure negli Ottanta
spensierati covano la ristrutturazione
della fabbrica, la morte dell’aristocrazia operaia, lo sfilacciamento dei rapporti
sociali, la fine dei
luoghi concreti di socializzazione (la sezione, la casa del popolo,
la parrocchia, il circolo,
il cineclub, il
bar…) e il trionfo della TV commerciale. Ognuno sta solo davanti
al suo televisore a colori.
Perfino
la droga, che prima era cercata (illusoriamente, d’accordo) “per
ampliare la percezione”,
per “dilatare l’esperienza sensoriale”, diventa rifugio
individuale
per sopportare
il mondo, per godere il piacere, per aver la sensazione di aumentare
il potere.
Circola meno eroina e più cocaina, che diventa il prodotto più
“cool” (il termine
non c’era ancora) e le famiglie mafiose si installano comodamente
anche al Nord.
La politica diventa intanto Tangentopoli: macchè cambiare il mondo, piuttosto sistema
di potere e macchina per far soldi.
Il
design e la moda, che erano state creatività, cominciano a diventare
sistemi finanziari,
trucchi per quotarsi domani in Borsa (e poi, quando la bolla scoppia, fallire).
Tutto
da buttare, dunque? Ma no. L’ideologia non può tagliare come un
coltello il buono
e il cattivo, con il passato sempre meglio del presente. Un decennio
divertente, quello
degli Ottanta, con tanti bei film e una musica più leggera ma piena
di proposte innovative.
Sul momento si storceva il naso, davanti ai Duran Duran che facevano dimenticare
Bob Dylan e i Deep Purple. Ma c’erano i Depeche Mode e i Simple Minds,
gli U2 ed Elvis Costello, gli Style Council e i Rem, gli Smiths e i
Tears for Fears.
E gli Eurythmics! E
i Guns n’Roses!
E
c’erano Anche Madonna, Cyndi Lauper,
i Pretenders… E alla fine: quanto era divertente la disco anni
Ottanta!
Intanto,
fuori dalle discoteche, è vero che cresceva Tangentopoli. Ma nasceva
anche la
prima cultura politica postideologica, quella costruita non sull’asse
destra/sinistra, ma
su legalità/illegalità. Nasceva a Palermo il movimento antimafia, a
Milano il circolo
Società civile. Ci siamo divertiti, negli anni Ottanta, e siamo
cresciuti con un Paese che odiamo e amiamo. Allora come oggi.
Copertina
dell'ultimo libro di Gianni Barbacetto
edito
per Chiarelettere nel dicembre 2012
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