di Carlo Schiavoni
Esa Pekka Salonen è tra i direttori più interessanti della
generazione nata nei primi anni sessanta. Lo ha dimostrato nel concerto tenutosi al Festival di Salisburgo 2014. Il maestro finlandese vi giunge con la propria
orchestra: la Philharmonia Orchestra
di Londra, tra le migliori d’Europa.
Il programma prescelto è sospeso tra ottocento
e novecento: vi raffigura un mondo che si affaccia sull’abisso della prima
guerra mondiale ed assiste al disfacimento della società del primo dopoguerra.
Il linguaggio musicale si fa fluido: non esiste una tecnica compositiva univoca.
Richard Strauss, il più grande compositore ventesimo secolo, secondo la
definizione di Glenn Gould, mostra un linguaggio radicato nel diciannovesimo
secolo. La Philharmonia Orchestra sfodera archi pastosi e morbidi nel “Don
Quixote” di Strauss, ad apertura del programma. Salonen ne asseconda,
esaltandole, le doti di cantabilità della propria orchestra così come dei
pregevoli solisti: la viola di Lawrence Power e il caldo violoncello di
Maximilian Hornung. Lettura
analitica e atmosfere rarefatte dominano nei “Tre pezzi per orchestra” ( Drei
Orchester Stuecke) di Alban Berg, composti tra il 1913 ed il 1915, mirabilmente
eseguiti dall’orchestra e dal suo trascinante direttore e compositore, Esa
Pekka Salonen. La tensione drammatica ha il suo apogeo nella “ Marcia” finale,
che termina, improvvisamente, su
quel terzo colpo di martello che ci rimanda alla sesta sinfonia di Gustav Mahler,
di cui Berg fu enorme ammiratore. Danza di spettri si fa il walzer ne “La Valse”
di Maurice Ravel, evocazione di un mondo in frantumi….
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