“La città danzante di Marco Petrus”
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Marco Petrus, foto di Monica Castiglioni |
Singapore
è una delle metropoli simbolo della New Economy, spaventosamente ricca, con
un’altissima concentrazione di nuovi edifici progettati dai più famosi
architetti e con surreali alberi di metallo alti cinquanta metri, che
sorreggono ponti e giardini pensili.
Nell’ultima
mostra, Altlas, inaugurata alla Triennale lo scorso 29 Aprile e visitabile fino
al 2 Giugno, Marco Petrus elabora e presenta il suo nuovo progetto di città
sognata ed immaginata, lui che è sempre partito dall’esaltazione del singolo
dettaglio, dall’inquadramento del palazzo storico conosciuto e
dall’osservazione razionale della realtà urbana e architettonica della sua
adorata Milano: poiché è attraverso la rigorosa struttura geometrica e nella
ripetizione costante degli elementi che Petrus ha costruito il piano di
osservazione, anche dal punto di vista sociale e antropologico.
La globalizzazione, che tende ad uniformare e
livellare identità e differenze anche nelle città dove viviamo, ha suggerito un
nuovo modo di tradurre la realtà a Petrus che, dietro alle sue nuove
prospettive ingannevoli e affastellate, cerca un nuovo ordine personale nella
vasta materia dell’opera. La concretezza diventa fluida, perché i temi
affrontati di sottofondo sono sempre gli stessi: la memoria, la nostalgia del
ricordo e il passare del tempo. Petrus non vuole semplificare o confondere le
idee. Il risultato dei suoi ultimi lavori sono una struttura sfaccettata, dove
ogni edificio sta vicino ad altri, in una successione che non implica una
gerarchia o una consequenzialità ma una rete, dove si possono tracciare e
ricavare nuove mappe e differenti panorami.
E ora è ancora più avvincente riconoscere un
luogo, leggere una scritta, distinguere un particolare significativo. A Piet
Mondrian è successo un’esperienza simile. Alla fine della sua vita, l’olandese
si trasferisce a New York, dove rimane folgorato dal ritmo sincopato ed
esilarante della metropoli, simile al suono della musica jazz. La sua griglia
si frantuma, si scompone in vibranti quadratini, le opere migliori, la serie
Broadway e Boogie-Woogie dal 1942 al 1944. E non è solo il movimento, il motore
della ricerca di Mondrian, a spingerlo a quel cambiamento coerente ma
rivoluzionario.
Anche
i grattacieli di Petrus smettono di essere isolati e si uniscono in un
intreccio senza fine, una danza che toglie fissità, smuove il cemento, trova
diversi colori potenti e spalanca nuove interpretazioni e inedite storie,
perché Petrus lo ha sempre saputo: la città è una dimensione viva, che tra
futuro e passato, tradizione e fantascienza, solitudine dell’anonimato ed
esaltazione collettiva, continua ad evolversi e cambiare.
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Marco Petrus: Atlas, 2013; olio su tela cm100x200 |
I tuoi riferimenti oltre alla storia dell’arte, sono
intrecciati all’architettura. Al di là della rappresentazione e astrazione di
un edificio, in particolare milanese, quali sono i nuovi esempi architettonici
anche in altri luoghi, che ti hanno stimolato ed ispirato? Ci sono degli
architetti, a parte Giò Ponti, che sono un modello di riferimento di partenza
simbolico e costruttivo per il tuo lavoro?
Scelgo gli edifici per il loro impatto
visivo, cerco pretesti compositivi nelle architetture e ne traduco pittoricamente
i ritmi, i rapporti chiaroscurali e cromatici, i volumi. Non è importante il
luogo o lo stile dell’architetto, seleziono le architetture che sono congeniali
al mio modo di dipingere. Dipende poi dai miei spostamenti, infatti i miei
soggetti li devo cogliere “dal vivo”, quindi a Milano sono quelli nel mio
raggio d’azione e le altre città sono quelle che visito, ultima e quindi ben presente
in mostra: Marsiglia.
La tua scelta coerente di spopolare le tue città e tuoi
grattacieli, può creare nell’osservatore sentimenti contrastanti: equilibrio di
forme ed elevazione ad uno stato di purezza senza contraddizioni che tuttavia
può suscitare inquietudine e senso di angoscia come il Day After.
Scelta formale o psicologica, quella dell’abolizione della razza umana, che è
sottintesa, non certo evitata?
La figura umana non è il soggetto dei
miei quadri, e ormai non lo è più, paradossalmente, forse, neanche la città. Quando
un edificio è ritagliato e isolato dal suo contesto originario, non è più parte
della città, diventa altro: una forma, una composizione, tasselli di colori
accostati.
Spesso viaggiamo per il mondo e ci dimentichiamo di
esplorare ed apprezzare la nostra stessa città: girando a piedi, a testa in
su’, come tu suggerisci, si scopre la parte meno evidente, misteriosa e
nascosta di Milano. Questo lento ed appassionato processo conoscitivo scatta
anche per altre città, ad esempio Rimini, dove sei nato, o è un’esclusiva solo
milanese, l’eletto palcoscenico dei tuoi progetti artistici?
A
Rimini ci sono solo nato, sono cresciuto a Milano. Come dicevo prima, il mio
“metodo”prevede la “presa diretta”, quindi ho bisogno di spostarmi, di
viaggiare, ma non importa dove.
Il cinema, ancora di più che la letteratura, sembra
essere una tua grande fonte d’ispirazione, anche per le tecniche simili
utilizzate per l’inquadratura: zoom, campo lungo, osservazione dall’alto e
viceversa? Non hai mai pensato di girare un film o un video, con lo sguardo del
pittore Marco Petrus?
No, di girarlo io no, però ho prestato
spesso le mie immagini a registi e scenografi.
Anche i tuoi cieli sono sgombri, uniformi ed opachi.
Senza perturbazioni o increspature di aerei o voli d’uccello. La tua è una
scelta razionale, motivata dal bisogno d’incentrare la visione sull’edificio e
non sul contesto esterno? Infatti in quelli più ortodossi e rigorosi,
l’orizzonte sparisce e il cielo è cancellato totalmente.
Il cielo nei miei quadri, non è il
cielo. E’ un elemento, una forma, che concorre alla composizione finale del
dipinto.
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Marco Petrus: Atlas, 2014; carboncino su cartone cm121x181 |
Negli ultimi tuoi lavori esposti in Triennale c’è una
predilezione per la linea curva e l’abolizione di angoli acuti e spigoli
accentuati. Come alterni le tipologie degli edifici e i formati? Quali sono le
principali innovazioni di questa tua spettacolare mostra?
Alterno spesso le tipologie degli
edifici, così come i formati, a lungo ho usato molto il verticale, nella mostra
Atlas, una grande parete dipinta di rosso ospita ventiquattro tele –anche
sovrapposte- di diverse dimensioni, che rappresentano tutte le varietà di visione che ho realizzato negli ultimi
anni. Si contrappongono, su due pareti, otto grandi tele orizzontali dal
rapporto uno a due, quasi panoramico, appese su dei riquadri colorati intonati
alle dominanti dei dipinti, così le opere si inseriscono nello spazio
espositivo e creano un rimando continuo tra una sezione e l’altra della mostra
che si chiude con tre grandi disegni a carboncino su cartone, raffiguranti dei
dettagli ingranditi di un edificio modulato da una reticolo di “celle” ripetute
senza fine.
http://www.triennale.it/it/component/edocman/category/41
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