“Illustrazione: l’impatto autentico con il reale”
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L'illustratore Stefano Delli Veneri, ( fotografia di Natalie Ascencios) |
Nell’epoca di Photoshop e dell’immagine digitale,
l’illustrazione conserva un ruolo fondamentale ed indipendente, sia a livello
espressivo che nella sfera professionale. Stefano Delli Veneri, è un esempio
particolare ed emblematico di questo esiguo esercito di traduttori ed
interpreti della realtà, che non amano apparire e che si nascondono dietro la
loro opera. L’illustrazione è generalmente considerata un ramo minore dell’arte
figurativa ed esclusa da una seria riflessione critica a causa della sua
autentica popolarità e dei suoi risvolti commerciali. E’ sufficiente citare
Norman Rockwell, l’artista più amato d’America: le sue opere sono state
riprodotte su biglietti d’auguri, calendari, figurine e le sue copertine per il
Saturday Evening Post (oltre 300) sono state raccolte e conservate da milioni
fedeli, generazione dopo generazione. E tutto questo a dispetto dei critici
d’arte che, fino a poco tempo fa, hanno ignorato o apertamente denigrato i suoi
ritratti dell’America e degli Americani.
Nel nostro paese l’atteggiamento fra
addetti ai lavori, non è molto diverso, nonostante che numerosi dei suoi
osannati testimoni, come Fortunato Depero, Bruno Munari, Emilio Isgrò, Mario
Schifano e lo stesso Alighiero Boetti, si affianchino ai protagonisti
internazionali, come Toulouse Lautrec , Edward Hopper, Andy Warhol, Magritte e
John Baldessari, solo alcuni tra coloro che hanno avuto un passato come
pubblicitari e disegnatori, prima ancora che artisti.
Le illustrazioni di Stefano Delli Veneri sono destinate
ad ambiti e scopi molteplici e differenziati, come l’editoria, gli spot
pubblicitari, la moda, il teatro, i ritratti, l’arredamento e il cinema. Questo
continuo slittamento e spostamento, in mondi paralleli ma distanti, consente
all’autore ampia autonomia e libertà espressiva, tuttavia al contempo lo
obbliga ad un continuo aggiornamento di conoscenze e tematiche, che solo la sua
flessibilità professionale e l’innata ironia riescono a preservare e tutelare.
L’illustratore instaura un rapporto di fiducia e
continuità con la committenza, che riconosce in lui il merito di avere
un’identità riconoscibile ma al contempo uno stile non connotato o limitante e
capace di valorizzare ed interpretare fino in fondo il messaggio e le
caratteristiche di volta in volta rappresentati. Nonostante l’appiattimento e
l’omologazione artificiale digitale, è necessario distinguere in base alla
qualità: infatti ci sono diversi grandi illustratori che pur usando il digitale
riescono a esprimersi in modo personale e altamente artistico, e parallelamente
il disegno manuale si è riappropriato dell’unicità e del tocco vintage, oggi
così apprezzati e ricercati in specifici settori.
Come sosteneva Francis Bacon, anche Stefano Delli Veneri
è consapevole, che non è la fantasia ad essere una prerogativa essenziale
all’atto creativo ma, al contrario, il rapporto diretto con la realtà e la
capacità di coglierla ed interpretarla in tutto il suo splendore e nella sua
spietata brutalità. L’impatto autentico con il reale, azzera la differenza tra
artificio e paesaggio naturale, affidandoci alle sensazioni e alla “voluttà dell’esistenza”.
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"Stardust"- Kansai Yamamoto bodysuit- Naba Fashion Department 2014 Event |
Gli illustratori non lavorano in un forzato e sterile isolamento, come
succede tristemente a molti artisti. Stefano Delli Veneri, con numerosi suoi
colleghi, partecipa alla “Associazione Autori di Immagini” che si occupa di
promozione, innovazione, ricerca e didattica, in una continua interazione
reciproca con un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo. Dall’interno,
sostegno morale e professionale, senza privilegi o favoritismi: esempio che
consigli ad altre categorie in Italia?
Pur essendo iscritto all’associazione dagli anni 80, attualmente sono solo
iscritto e non partecipo alla vita associativa. Ho più contatti ed amici nella
Society of Illustrators di New York, che davvero rappresenta un punto di
riferimento, di aggiornamento e promozione per la categoria. In Italia siamo
molto lontani da questa realtà, dunque la mia adesione all’associazione è più
sentimentale che ragionata. A proposito dell’isolamento professionale ho avuto
vari studi con colleghi e alcuni sodalizi che hanno funzionato a lungo. Come
esempio di associazione ben funzionante citerei la Society di New York o la AOI
inglese.
Un capitolo a parte è quello degli autori di fumetti. L’Italia gode di una
grande schiera di protagonisti internazionali come Hugo Prat, Andrea Pazienza,
Milo Manara, Altan e Angela e Luciana Giussani, che hanno creato Diabolik.
Anche loro hanno avuto più riconoscimenti all’estero che in Italia. Esiste però
una sostanziale differenza tra chi disegna per i fumetti e un illustratore, che
deve rispondere a diverse richieste del mercato. Ruolo ancora diverso è poi,
quello del grafico, che opera solo in ambito pubblicitario. Pur con le sue
caratteristiche e qualità tecniche, è lo stile meno personalizzato e il modo di
disegnare più fluido ed adattabile, che distingue un illustratore?
Difficile generalizzare. A volte è estremamente complesso etichettare un
artista: Robert Crumb, Oscar Grillo, Dino Battaglia, Sergio Toppi, possono
tranquillamente aderire a entrambe le categorie. In altri tempi il fumettista
tendeva a “frequentare”maggiormente il disegno sequenziale mentre
l’illustratore lavorava sull’immagine singola e sulle colorazioni. Considero
però questo tipo di classificazione estremamente rigida.
La nostra generazione ricorda "Le fiabe sonore illustrate" anche
perché, a parte la Walt Disney Production, non c’era molto altro in Italia.
Oggi l’illustratore per l’infanzia è apprezzato e ricercato, quelli stranieri
spesso sono anche autori dei testi, come quelli che collaborano per la
Babalibri, storica collana per bambini edita da Rosellina Archinto, che
rivoluzionò un settore condizionato rigidamente dall’editoria anonima
scolastica. Anche tu hai disegnato per questa fascia d’età e anche per diversi
romanzi come: "Una stagione milanese" di Micaela Solbiati e Duccio
Locati, prossimo alla pubblicazione. Come si sviluppa il rapporto tra testo ed
immagine, tra scrittore ed illustratore?
È un rapporto variegato e complesso: dipende sicuramente dagli ambiti e ovviamente tale rapporto “funziona”
se si stabilisce una sintonia tra i due attori. Con Miki Solbiati per “Una
stagione Milanese”, romanzo edito da Sefer Books, la richiesta stilistica era
precisa e condivisa, dunque tutto ha funzionato per il meglio, come anche la
collaborazione con Gloria Corica e Pino Cacucci, per i quali ho illustrato “Pan
del Alma”, progetto contraddistinto dalla totale libertà sia tecnica che
stilistica.
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Illustrazione per il romanzo "Una stagione milanese" di Miki Solbiati e Duccio Locati, edito da Sefer Books, 2014 |
Hai lavorato anche per il cinema e per il teatro. La scenografa Margherita
Palli, è convinta che non abbia più senso fare distinzioni tra opera d’arte e
progetti da realizzare con registi o tecnici della luce o della fotografia.
Inoltre spinge i suoi allievi ad utilizzare il disegno, oltre che i programmi
del computer, come strumento fondamentale e diretto per elaborare idee e
proposte concrete sul campo. Concordi con questa visione meno restrittiva ed
aperta?
Certo, concordo in pieno.
Molti dadaisti ed esponenti del Costruttivismo russo utilizzarono il
disegno, affiancato alla fotografia, per le loro ricerche tipografiche in campo
pubblicitario, nel design e anche nel montaggio. Oggi c’è un recupero del
disegno da parte di molti artisti che operano delle contaminazioni con fumetto,
narrazione, architettura ed illustrazione. Cosa ti ha spinto ad essere un
illustratore piuttosto che un artista che disegna?
Traviato in tenera età dalla copertina di “Cheap Trills” (Janis Joplin),
illustrata dal grande Robert Crumb, LP dei fratelli maggiori. Inoltre sono
cresciuto con “Linus”, per cui è stato poi emozionate lavorarci. I miei
riferimenti/eroi erano illustratori/fumettisti come Jean Giraud, Dino
Battaglia, Sergio Toppi, il Manara dello “Scimmiotto” e ovviamente il già
citato Crumb. Peraltro sono convinto che ci siano molti illustratori “artisti”,
come anche artisti che illustrano, per es. Palladino e il suo Pinocchio o
Gustav Dorè dalla Bibbia al Don Quixote.
Qual è il committente ideale, un privato o una società? Quali sono i
margini di libertà e d’interpretazione che ti vengono concessi, nell’ambito di
un progetto? Lavorare con gli stranieri può essere stimolante e meno
convenzionale rispetto al mercato italiano?
Dipende dal feeling che si stabilisce tra le due parti, in genere è più
facile collaborare con una società, ma a volte con i committenti privati può
scoccare quella scintilla che fa decollare il progetto. I margini di libertà,
di interpretazione dipendono dagli ambiti: pubblicità, editoria e moda hanno
regole e codici comportamentali differenti ma anche qui trovo sia sbagliato
generalizzare.
L’editoria è in fase di disfacimento e rielaborazione: la profonda crisi
economica e di degrado etico e culturale che caratterizza il nostro paese mette
in discussione il significato e il ruolo di ogni creativo. Meno individualismo
ed esibizionismo, sostituiti da capacità di confronto e di collaborazione.
Umanamente e professionalmente come vivi questa fase di transizione?
Umanamente sono rattristato dalla situazione odierna dell’editoria;
professionalmente riuscendo a lavorare per ambiti differenti, risento meno di
altri colleghi di questa fase critica.
Che percorso ed esperienze di studio e pratica, consigli a chi oggi,
giovane illustratore, si avventura per essere un professionista a tutto tondo
nell’illustrazione?
Consiglio sicuramente una formazione accademica all’estero pur avendo frequentato varie realtà accademiche italiane. Penso che la School of Visual Art, IL Fashion Institute of Technology, la Parson a
New York, il Bau a Barcellona, il Kingston College di Londra et cetera, offrano
una formazione altamente specializzata e un continuo aggiornamento sulle
richieste del mercato. Un mio giovane collega americano, bravissimo e
affermato, mi raccontava dei sue 9 anni di studio tra accademia e master.
Toulouse Lautrec rappresenta in assoluto l’artista che con la sua linea
nera flessuosa ed elegante, riesce ad esprimersi trovando una sintesi come
pittore ed illustratore. Celeberrimi i suoi manifesti, che sono modernissimi e
sono contemporaneamente una testimonianza dell’atmosfera della Belle Epoque. Originalità e capacità d’interpretare il proprio tempo: sono queste le
caratteristiche essenziali dell’illustratore?
Totalmente d’accordo. Per Lautrec, impossibile trovare esempio migliore.
Progetti futuri?
Si prepara una stagione contorta… Nel 2014/2015 le mie tavole per “Pan de
Alma” saranno in mostra a Napoli, Roma, Bologna e Città del Messico; ho due
testi da affrontare a breve per una collana di autori del novecento italiano ed
ovviamente procedono le mie collaborazioni regolari con brand e agenzie
pubblicitarie. A febbraio 2015 terrò un workshop in Messico sul ritratto e
sullo sketchbook durante il festival “Cruzando Fronteras”, di cui con Simona
Scala ho realizzato il manifesto.
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"Live portraits", Evento Swatch Group Boutique Breguet, Montenapoleone - Milano |
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