Un film documentario con immagini di una tale
forza poetica e di una tale bellezza, da lasciare senza fiato. Concedendomi
un’iperbole, posso dire di essermi commossa già ai titoli di testa. All’interno
del carcere di Rebibbia viene messo in scena il Giulio Cesare di William
Shakespeare. La macchina da presa segue le prove e la vita di un gruppo di
carcerati. Gli uomini possono così comprendere fino in fondo, e sulla propria
pelle, che i sentimenti e le emozioni che regolano la nostra vita, passione,
odio, rabbia, paura, sono da sempre sono gli stessi, memoria cellulare di ogni
essere umano.
La sintesi perfetta e memorabile, che racchiude
il bisogno profondo dell’uomo di trascendere se stesso, è la frase di uno dei
protagonisti (fine pena: mai) quando, al termine della rappresentazione, torna
in cella e i secondini chiudono alle sue spalle una pesante porta di ferro:
“Adesso che ho conosciuto l’arte, questa cella
mi sembra una prigione”.
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