giovedì 22 maggio 2014

StorieReali presenta: INTERVISTA A MARCO PETRUS

                                 
                                   “La città danzante di Marco Petrus” 

Marco Petrus, foto di Monica Castiglioni


Singapore è una delle metropoli simbolo della New Economy, spaventosamente ricca, con un’altissima concentrazione di nuovi edifici progettati dai più famosi architetti e con surreali alberi di metallo alti cinquanta metri, che sorreggono ponti e giardini pensili.
Nell’ultima mostra, Altlas, inaugurata alla Triennale lo scorso 29 Aprile e visitabile fino al 2 Giugno, Marco Petrus elabora e presenta il suo nuovo progetto di città sognata ed immaginata, lui che è sempre partito dall’esaltazione del singolo dettaglio, dall’inquadramento del palazzo storico conosciuto e dall’osservazione razionale della realtà urbana e architettonica della sua adorata Milano: poiché è attraverso la rigorosa struttura geometrica e nella ripetizione costante degli elementi che Petrus ha costruito il piano di osservazione, anche dal punto di vista sociale e antropologico.

 La globalizzazione, che tende ad uniformare e livellare identità e differenze anche nelle città dove viviamo, ha suggerito un nuovo modo di tradurre la realtà a Petrus che, dietro alle sue nuove prospettive ingannevoli e affastellate, cerca un nuovo ordine personale nella vasta materia dell’opera. La concretezza diventa fluida, perché i temi affrontati di sottofondo sono sempre gli stessi: la memoria, la nostalgia del ricordo e il passare del tempo. Petrus non vuole semplificare o confondere le idee. Il risultato dei suoi ultimi lavori sono una struttura sfaccettata, dove ogni edificio sta vicino ad altri, in una successione che non implica una gerarchia o una consequenzialità ma una rete, dove si possono tracciare e ricavare nuove mappe e differenti panorami.
 E ora è ancora più avvincente riconoscere un luogo, leggere una scritta, distinguere un particolare significativo. A Piet Mondrian è successo un’esperienza simile. Alla fine della sua vita, l’olandese si trasferisce a New York, dove rimane folgorato dal ritmo sincopato ed esilarante della metropoli, simile al suono della musica jazz. La sua griglia si frantuma, si scompone in vibranti quadratini, le opere migliori, la serie Broadway e Boogie-Woogie dal 1942 al 1944. E non è solo il movimento, il motore della ricerca di Mondrian, a spingerlo a quel cambiamento coerente ma rivoluzionario.
Anche i grattacieli di Petrus smettono di essere isolati e si uniscono in un intreccio senza fine, una danza che toglie fissità, smuove il cemento, trova diversi colori potenti e spalanca nuove interpretazioni e inedite storie, perché Petrus lo ha sempre saputo: la città è una dimensione viva, che tra futuro e passato, tradizione e fantascienza, solitudine dell’anonimato ed esaltazione collettiva, continua ad evolversi e cambiare.


Marco Petrus: Atlas, 2013; olio su tela cm100x200


I tuoi riferimenti oltre alla storia dell’arte, sono intrecciati all’architettura. Al di là della rappresentazione e astrazione di un edificio, in particolare milanese, quali sono i nuovi esempi architettonici anche in altri luoghi, che ti hanno stimolato ed ispirato? Ci sono degli architetti, a parte Giò Ponti, che sono un modello di riferimento di partenza simbolico e costruttivo per il tuo lavoro?
Scelgo gli edifici per il loro impatto visivo, cerco pretesti compositivi nelle architetture e ne traduco pittoricamente i ritmi, i rapporti chiaroscurali e cromatici, i volumi. Non è importante il luogo o lo stile dell’architetto, seleziono le architetture che sono congeniali al mio modo di dipingere. Dipende poi dai miei spostamenti, infatti i miei soggetti li devo cogliere “dal vivo”, quindi a Milano sono quelli nel mio raggio d’azione e le altre città sono quelle che visito, ultima e quindi ben presente in mostra: Marsiglia.

La tua scelta coerente di spopolare le tue città e tuoi grattacieli, può creare nell’osservatore sentimenti contrastanti: equilibrio di forme ed elevazione ad uno stato di purezza senza contraddizioni che tuttavia può suscitare inquietudine e senso di angoscia come il Day After. Scelta formale o psicologica, quella dell’abolizione della razza umana, che è sottintesa, non certo evitata?
La figura umana non è il soggetto dei miei quadri, e ormai non lo è più, paradossalmente, forse, neanche la città. Quando un edificio è ritagliato e isolato dal suo contesto originario, non è più parte della città, diventa altro: una forma, una composizione, tasselli di colori accostati.

Spesso viaggiamo per il mondo e ci dimentichiamo di esplorare ed apprezzare la nostra stessa città: girando a piedi, a testa in su’, come tu suggerisci, si scopre la parte meno evidente, misteriosa e nascosta di Milano. Questo lento ed appassionato processo conoscitivo scatta anche per altre città, ad esempio Rimini, dove sei nato, o è un’esclusiva solo milanese, l’eletto palcoscenico dei tuoi progetti artistici?
 A Rimini ci sono solo nato, sono cresciuto a Milano. Come dicevo prima, il mio “metodo”prevede la “presa diretta”, quindi ho bisogno di spostarmi, di viaggiare, ma non importa dove.

Il cinema, ancora di più che la letteratura, sembra essere una tua grande fonte d’ispirazione, anche per le tecniche simili utilizzate per l’inquadratura: zoom, campo lungo, osservazione dall’alto e viceversa? Non hai mai pensato di girare un film o un video, con lo sguardo del pittore Marco Petrus?
No, di girarlo io no, però ho prestato spesso le mie immagini a registi e scenografi.

Anche i tuoi cieli sono sgombri, uniformi ed opachi. Senza perturbazioni o increspature di aerei o voli d’uccello. La tua è una scelta razionale, motivata dal bisogno d’incentrare la visione sull’edificio e non sul contesto esterno? Infatti in quelli più ortodossi e rigorosi, l’orizzonte sparisce e il cielo è cancellato totalmente.
Il cielo nei miei quadri, non è il cielo. E’ un elemento, una forma, che concorre alla composizione finale del dipinto.


Marco Petrus: Atlas, 2014; carboncino su cartone cm121x181

Negli ultimi tuoi lavori esposti in Triennale c’è una predilezione per la linea curva e l’abolizione di angoli acuti e spigoli accentuati. Come alterni le tipologie degli edifici e i formati? Quali sono le principali innovazioni di questa tua spettacolare mostra?
Alterno spesso le tipologie degli edifici, così come i formati, a lungo ho usato molto il verticale, nella mostra Atlas, una grande parete dipinta di rosso ospita ventiquattro tele –anche sovrapposte- di diverse dimensioni, che rappresentano tutte le varietà  di visione che ho realizzato negli ultimi anni. Si contrappongono, su due pareti, otto grandi tele orizzontali dal rapporto uno a due, quasi panoramico, appese su dei riquadri colorati intonati alle dominanti dei dipinti, così le opere si inseriscono nello spazio espositivo e creano un rimando continuo tra una sezione e l’altra della mostra che si chiude con tre grandi disegni a carboncino su cartone, raffiguranti dei dettagli ingranditi di un edificio modulato da una reticolo di “celle” ripetute senza fine.

http://www.triennale.it/it/component/edocman/category/41

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