mercoledì 20 maggio 2015

StorieReali presenta: INTERVISTA A RICCARDO CRESPI

                       
        Provocazioni, riflessioni e confessioni di un gallerista: Riccardo Crespi

Emma Ciceri, Anatomia-Folle, installation view, 2013, courtesy gallery Riccardo Crespi,
photo by Delfino Sisto Legnani


Nella complessa dimensione attuale, caratterizzata da continui mutamenti, sia dal punto di vista economico, scientifico e tecnologico, in uno scenario sempre più artificiale e lontano dalla natura, 
Riccardo Crespi apre coraggiosamente la sua Galleria nel 2006, con un programma dedicato principalmente ad artisti giovani, italiani e stranieri, che operano contemporaneamente, mescolando diversi linguaggi e tecniche, cercando di compiere un’analisi sugli strumenti e sul proprio fare, in un continuo slittamento tra attualità e storia, narrazione e realtà, finzione e mito. Con il postmoderno, siamo stati spettatori di un recupero di stili, di un’imposizione di mode e di un fluire di tendenze, che spostano inevitabilmente e volutamente l’attenzione da una riflessione critica e da un’analisi profonda all’evento, alla spettacolarità, in un mondo completamente mutato a causa della frenesia tecnologica e della prolificazione indistinta d’immagini. 

Un gallerista non può evitare di essere consapevole delle chimere, delle trappole e degli agguati, che può incontrare lungo i suoi tragitti più o meno battuti o inesplorati. Se da una parte gli artisti che adoperano più linguaggi espressivi, considerati attuali, sono i più ricercati e destinati al successo commerciale, dall’altra la sperimentazione, in alcuni casi, si limita all’estetica. Ed è per evitare questa abbagliante ambiguità, questo pericoloso andamento, che Riccardo Crespi, ribadisce di diffidare dagli artisti, che troppo facilmente e con disinvoltura, si liberano dal problema dell’opera d’arte, della sua ricerca di senso, di qualità, in un confronto e rapporto con il reale, che viene troppo spesso eluso o esaltato, attraverso immagini distanti dalle problematiche autentiche della conoscenza. 
L’era dei galleristi sembra destinata a scomparire, incalzata da quella dei curatori, che si sono sostituiti ai critici. Sono loro ad inventare temi e dettare le regole alle quali gli artisti si devono uniformare. Le Biennali e le rassegne d’arte sono diventate sempre più spesso lo specchio e il territorio virtuale e convenzionale del curatore di turno. 
Riccardo Crespi s’interroga così, attraverso i suoi artisti, sul tema della modernità, recuperando il senso del “fare” e non certo affidandosi o consegnandosi alla tecnica. Non può che condividere,  la necessità di ritornare a una posizione politica ed insieme teorica, all’artista in prima linea, responsabile delle sue scelte davanti al mondo e che proprio ora non smette di proporre nuove visioni, inedite angolazioni e sguardi differenti, mettendosi in discussione, facendo traballare pericolosamente e provocatoriamente certezze e convenzioni, per provare a far riflettere e meravigliare ancora. 
Il potere dell’immaginazione ridiventa cosi’ possibile, quando attraverso i sensi e il corpo, senza fretta, riscopriamo il gioco e metafisica e reale trovano una loro nuova dimensione nell’opera.


Ludovica Gioscia, Description de l'Egypte, 2013, courtesy galleria Riccardo Crespi
 and the artist, photo by Delfino Sisto Legnani

L’emergenza attuale comprende anche il recupero della pittura in chiave poetica e narrativa, per indagare la realtà a più livelli e in modo più profondo. Alcuni artisti che hai esposto preferiscono non limitarsi ed utilizzano video, installazione e fotografia, anche contemporaneamente, come Ludovica Gioscia, o Emma Ciceri. La multimedialità può essere obsoleta e retorica, se è imposta con la convinzione che sia “avanguardia” e con il credo, che si comprenda meglio la realtà con le immagini o con qualche congegno tecnologico ed elettronico. Cosa pensi al riguardo?  
Gli artisti non credo si sentano pittori o fotografi, credo siano artisti e basta, semplicemente uno riesce meglio ad esprimersi con un mezzo o con l’altro. Oggi la pittura non è più obsoleta di video o fotografia, né è possibile indicare una tecnica come "avanguardia": tutto parte dell’espressione artistica contemporanea allo stesso livello, in cui la qualità, il pensiero e lo spostamento tematico, concettuale ed estetico dovrebbero essere i criteri di valutazione.

L’artista israeliano Roee Rosen, con il suo bagaglio letterario e le sue citazioni cinematografiche, accanto ai suoi provocatori documentari, disegna pagine potenti, che echeggiano alla favola, dialogano con il mito, si confrontano con la religione, affondando nelle lacerazioni del presente, con un segno personale e un bagaglio iconografico inedito. In questo caso i mezzi, sono indagine complessa, espressione del mondo e non solo, puro elogio degli strumenti. Concordi? 
Sì, concordo… Mi sembra una buona sintesi per un artista così complesso e colto quanto incredibilmente interessante, che è già parte della storia dell’arte, avendo fatto innumerevoli mostre museali e retrospettive, per citarne qualcuna, da giugno sarà a Le Quartier, centre d’art contemporain de Quimper e poi al museo di Tel Aviv con una sua grande retrospettiva, oltre ad aver vinto tantissimi festival di videoarte in italia: Orizzonti al 67° festival del cinema di Venezia e a quello di Roma nella sezione Cinemaxxi nel 2013.

Aldo Mondino, si considerava, ed è stato paragonato, a un grande pittore rinascimentale. Lui stesso sosteneva di essersi conquistato la libertà di giocare e sperimentare con i materiali, ad esempio, il tappeto con chicchi di caffè, esposto anche nella tua galleria, grazie al suo impegno e confronto con l’essenza della pittura, dove il contemporaneo e l’antico, il futuro e il presente si incontrano e mescolano. Quale dei tuoi artisti giovani è in grado di affrontare oggi, la sfida autentica della pittura? 
Mondino è certamente un grande artista eclettico oltre che ironico: ritengo “Mekka mokka” l’opera del tappeto di caffè, una delle sue opere più interessanti insieme a “Raccolto in preghiera” che abbiamo esposto a Palazzo Serbelloni nel 2012. Mondino si confronta con la pittura sperimentando nuove superfici e modalità: oggi questo tipo di ricerca e spostamento estetico è superato proprio dalle opere di Mondino e i suoi contemporanei. Tuttavia in artisti come Gal Weinstein la tecnica, con materiali incollati ad una superficie, per lo più lane, è un tema centrale sia dal punto di vista concettuale che nel risultato estetico. Come vedi vale sempre tutto e il suo contrario. Molti degli artisti con cui lavoro usano la pittura, Veronica Smirnoff, ad esempio, riscopre la tempera all’uovo su tavola propria delle icone, che rappresenta una sorta di punto di partenza, le sue origini russe appunto, per sviluppare sulle tavole un immaginario del tutto contemporaneo. Marta Sforni si interroga costantemente sul decoro che è proprio delle sue origini veneziane, scomponendolo per restituire frammenti di oggetti, stoffe, drappi, lampadari, deprivati della loro funzione e dipinti come meravigliose reliquie archeologiche. Roee Rosen ha invece una pittura simbolica, ogni lavoro sottende a innumerevoli significati sociali e politici, infine, Caterina Silva si interroga formalmente sulle potenzialità della pittura stessa e affronta temi attualissimi, primo fra tutti gli studi di genere. Ho citato solo quelli che usano prevalentemente la pittura con tecniche tradizionali, anche se tutti gli artisti si cimentano con un piano bidimensionale, destinato ad essere appeso; cosa possa essere definita propriamente pittura mi sembra una distinzione velleitaria e non sostanziale. Per rispondere, quindi, credo che tutti i miei artisti possano cimentarsi, dal mio punto di vista, con la pittura: sarebbe assurdo il contrario visto che queste collaborazioni sono frutto di anni di ricerca e di selezione degli artisti più talentuosi a parere mio e dei critici con cui mi confronto.


Aldo Mondino, Mekka Mokka, 1988, ephemeral installation made of coffee,
variable dimensions, Courtesy gallery Riccardo Crespi and Archivio Aldo Mondino,
photo by Delfino Sesto egnani

Gal Weinstein, Solar, installation view by art gallery, March 2014, Courtesy galleria
 Riccardo Crespi and the artist, photo by Marco Cappelletti

Tra schermo e quadro esiste un rapporto di scambio e di conflitto. Basta citare Gerard Richter, che dipinge e blocca effetti cromatici e materia pittorica e, viceversa, rende astratte, deformandole, le sue fotografie. I tuoi artisti conducono una ricerca filosofica, antropologica e percettiva su questo eterno dualismo?
Penso che lo spostamento, l’evoluzione possa essere definita tale quando si poggia sulle conquiste precedenti. Quindi i passi fatti da Richter sono in qualche modo parte di ogni artista che lo succede anche in modo non esplicito e che per assurdo non lo conoscesse affatto.
Ormai è parte della cultura collettiva e inevitabile base per un’opera, come lo sono stati gli impressionisti o il rinascimento italiano ecc. Quindi la risposta è sì, in qualche modo per tutti, in modo più esplicito per Shin il Kim la cui ricerca verte spesso sui principi percettivi...

Hai lavorato spesso con Gabi Scardi ma anche con altri curatori. Come si articola il tuo rapporto con loro? Scegliete gli artisti insieme? Puoi intervenire nella presentazione critica? Chi si occupa dell’allestimento della mostra? Continui o inizi un rapporto personale, al di là del curatore, con un artista che t’interessa? 
Gabi è anche un amica quindi è stata uno dei curatori con cui più mi sono confrontato fin dall’inizio, poi vive vicino a me, ci incontriamo e parliamo spesso, ma come lei anche altri come Marianna Vecellio, che ha contribuito alla programmazione del primo anno. Credo che ogni gallerista voglia e debba scegliere gli artisti in autonomia, tuttavia pur non avendo mai costituito un comitato scientifico, ogni scelta è stata non solo pensata da me e Maria Francesca Saibene, bravissima e attentissima direttrice della galleria, ma anche frutto del confronto con critici e curatori.
Ho collaborato con tantissimi curatori, Michele Robecchi, Caroline Corbetta, Marco Tagliafierro, Mara Ambrozic, Cristiana Perrella, Julia Trolp, Francesca Pasini, Laura Cherubini e tanti altri stranieri, da Adam Budak a Joshua Simon solo per citare i primi che mi vengono in mente con cui ho avuto degli scambi e collaborazioni.

Enzo Cannaviello è contrario e si è tolto da Fiere e manifestazioni pubbliche, soprattutto in Italia, considerandole degradanti e non più rappresentative, neppure economicamente. Le tue esperienze personali?
È un tema complesso… Le fiere sono centrali per il sistema dell’arte, questo è un fatto; che poi non sia il sistema più efficiente che possiamo supporre e nemmeno quello che favorisce la maggiore qualità è un altro fatto. Cannaviello è un grande gallerista con una storia importante, può fare delle scelte più radicali. Personalmente ne faccio poche proprio perché spesso non sostenibili, tuttavia la recente partecipazione a Miart è stata soddisfacente da tutti i punti di vista. Per lo status quo, non penso si possa farne a meno del tutto, pur condividendo il pensiero di Cannaviello.


Justine Frank (Roee Rosen), Frankomas, 1930, oil on canvas
90 x 60, courtesy gallery Riccardo Crespi and the artist

Medardo Rosso, Felice Casorati, Carlo Carra’, Alberto Savinio, alcuni dei nomi degli Artisti che scrivevano, impegnandosi in un confronto critico. Una scrittura che si è interrotta verso la metà del Novecento, passata ai critici. Forse è necessario, per gli artisti ritornare a scrivere, avvalersi e recuperare la teoria. Sei d’accordo? 
Guarda, credo che gli artisti in qualche modo abbiano sempre continuato a farlo, non sarebbero artisti se non avessero un’autonomia di pensiero e un impegno, e chi non lo ha finisce con l’essere dimenticato. Fino alla prima metà del Novecento il mercato era molto diverso, più piccolo, senza grandi giri d’affari, in qualche modo più sano, e dava tempo per valutare, giudicare, consacrare o scordare. Oggi le tre C critica consenso e committenza si intrecciano, il sistema è molto più rapido e i critici insieme ai curatori, ai galleristi e tutti gli attori del sistema hanno il compito di guidare il consenso per non consegnare a quello che Bordieu descriverebbe come il gusto borghese l’unico termometro del successo: sarebbe, ed è già in parte, un triste gioco al ribasso fatto di epigoni.

Cosa consigli a un giovane, che oggi vuole aprire una galleria? Un secondo lavoro, per non dipendere da scelte commerciali, una lunga esperienza all’estero? 
Penso sia una bella avventura, certamente non facile; un altro lavoro direi che è totalmente impossibile: se vuoi farlo bene, serve tutto il tempo e anche dell’altro.
All’estero dipendono da scelte commerciali come e più che in Italia. Posso solo consigliare di essere rigorosi, di prenderlo come un lavoro difficile e di grande studio e attenzione, non credo possa avere senso altrimenti: come gioco non è nemmeno remunerativo.

Progetti futuri?
Attualmente, una mostra aperta il 29 aprile con una giovane italiana, unica italiana in questo momento alla Rijksakademie che credo sia la più esclusiva residenza al mondo. A settembre la seconda personale italiana di Marcelo Moscheta artista ormai molto conosciuto in Brasile, poi tanti altri progetti ma te li racconterò la prossima volta…


Roee Rosen, instalation view Pasta alla Putinesca, courtesy Galleria Riccardo Crespi
and the artist, photo by Marco Cappelletti

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