mercoledì 11 settembre 2013

La Grande Musica: Diario del Festival di Salisburgo 2013. Impressioni e note critiche. 1


Al centro del Festival di Salisburgo 2013, conclusosi la prima domenica di settembre dopo quaranta intensi giorni  di rappresentazioni, sono stati due massimi numi del teatro musicale: Giuseppe Verdi e Richard Wagner, in occasione dell’anniversario della loro nascita avvenuta, come si sa, nel 1813.
L'allestimento di Falstaff di Verdi, curato da Damiano Michieletto per il Festival di Salisburgo, ambienta l'azione a Milano alla casa di riposo Giuseppe Verdi: "L'opera mia più bella", come la definì Verdi stesso. (crediti fotografici: Festival di Salisburgo@Silvia Lelli )



Di Verdi, il festival ha presentato accanto a opere giovanili come  “Nabucco” e “Giovanna D’Arco”, un capolavoro della maturità qual è Don Carlo e la summa dell’arte verdiana, vale a dire “Falstaff”. Un omaggio a Verdi e a Milano, è l’allestimento firmato da Damiano Michieletto, per le scene di Paolo Fantin  e i costumi di Carla Teti. Il nostro regista sceglie di ambientare l’opera nella milanesissima Casa di Riposo Giuseppe Verdi. Mentre il pubblico prende posto, sono proiettate immagini della casa di riposo, ripresa dall’esterno. Il protagonista, ormai anziano ospite della casa di riposo, sogna i giorni in cui fu cantante glorioso; le stanze della casa si popolano. L’opera può cominciare. La regia di Michieletto regala momenti di autentica poesia. Poiché a Milano, come si sa, non scorre il Tamigi né il Naviglio lambisce la casa di riposo, Falstaff, nel fatidico finale secondo,  non viene gettato nel fosso. Lo vediamo piuttosto investito da una pioggia di confetti azzurri.

Ambrogio Maestri è Falstaff al Festival di Salisburgo: ha debuttato nel ruolo nel 2001 alla Scala, sotto la direzione di Riccardo Muti ( crediti fotografici: Festival di Salisburgo@Silvia Lelli)
Protagonista assoluto è il Falstaff, per antonomasia, dei nostri giorni: Ambrogio Maestri, il cui dominio della parte e l’evidenza che conferisce alla parola scenica non hanno oggi eguali. Attorno a lui, ruota il resto del cast. Le comari di Windsor sono impersonate da Fiorenza Cedolins , una disincantata Alice ed Elisabeth Kulman, irressistibile Quickly. Brilla quale Fenton, Javier Camarena, che luminosamente esegue il proprio sonetto “Dal labbro il canto estasiato vola”; accanto a lui, Eleonora Buratto. Ottimo Ford è infine Massimo Cavalletti.  I Wiener Philharmoniker e Zubin Mehta esaltano la scrittura cameristica del capolavoro verdiano, tanto più che Falstaff si esegue nel teatro più raccolto e di minori dimensioni, la Haus fuer Mozart.

“Giovanna d’Arco” è la settima opera verdiana: andò in scena al Teatro alla Scala il 15 febbraio 1848. Fu altresì l’opera che segnò il divorzio di Verdi dal nostro massimo teatro. Il livello delle prove fu così basso che il Maestro non ne volle più sapere di mettere in scena, alla Scala, le proprie opere per lunghi decenni a venire. Ragguardevole è stata l’esecuzione offerta dal Festival, anche se in forma di concerto. Anna Netrebko si conferma musicista di vaglia e interprete di razza: la incontriamo in una delicata fase di transizione della propria vocalità in cui sta modificando il proprio repertorio. Per il ritorno a Verdi dopo la celebre Traviata del 2005, sempre al Festival di Salisburgo, che la lanciò in tutto il mondo dei teatri, sceglie un ruolo dei così detti  “anni di galera” verdiani. La scelta appare in perfetta continuità con i precedenti ruoli Donizettiani sostenuti da Anna Netrebko, sol che si pensi alle caratteristiche vocali della prima interprete di “Giovanna d’Arco” , Erminia Prezzolini, già celebre, come ricorda Roger Parker, per ruoli quali Lucrezia Borgia di Donizetti e Beatrice di Tenda di Vincenzo Bellini. Anna Netrebko conferisce al ruolo verità di accenti e pienezza di significati alla parola scenica verdiana. 

Placido Domingo e Anna Netrebko, protagonisti di "Giovanna d'Arco" di Verdi, eseguita, in forma di concerto, alla Felsenreitschule. (crediti fotografici: Festival di Salisburgo@Silvia Lelli)
Al sommo Placido Domingo, artista completo come pochi altri, è concesso ciò che a nessun altro semplice cantante si concede: di affrontare, con pura voce tenorile, ruoli baritonali. Così incarna la figura di Giacomo, padre dell'eroina eponima, con la baldanza del ruolo dell'innamorato. Di un tale ribaltamento di ruoli, ne soffre Francesco Meli, luminoso esempio di tenore della miglior scuola italiana. Dirige la raffinata “Orchestra della Radio di Monaco”, con sicuro senso teatrale e tempi serrati, il Maestro milanese Paolo Carignani.

(il diario continua le prossime settimane...)

Carlo Schiavoni


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