martedì 17 marzo 2015

StorieReali presenta: KASIMIR MALEVIC, ANGELA TRAPANI E L’ASTRAZIONE

                                                            “Tolto l’infinito, nulla rimane”. 
                                                                                         Nicolò Cusano

Angela Trapani, foto di ROBERTO RICCI ©
Brera Sala Hayez febbraio 2015


In riferimento alle opere, alle “semisfere” dell’artista Angela Trapani, molto è stato scritto e i riferimenti sono stati differenti. Dall’architettura orientale delle moschee, alle cupole di Palermo di San Giovanni degli Eremiti e di San Cataldo, fino alla citazione dei pianeti celesti e perfino del corpo femminile. Per comprendere però la ricerca iconografica di questo figura geometrica, di questo archetipo, fino alla sua inesorabile e progressiva astrazione, dobbiamo inoltrarci nel “mondo senza oggetti del Suprematismo, quel mondo oltre tutte le figure”. 


Nel Dicembre del 1915, alla "Ultima Mostra Futurista:0.10” organizzata al Campo di Marte di Pietrogrado, Kasimir Malevic, espone trentasei opere suprematiste. Tra queste, il Quadrato nero, su fondo bianco, del 1913. Uno dei simboli più radicali, assieme al readymade di Duchamp, dell’arte moderna e contemporanea. Il campo pittorico è risolto totalmente in percezione non oggettuale.
Anche la stessa Angela Trapani ha sempre utilizzato il colore come luce e il contrasto cromatico, utilizzando come base, come supporto, la stessa grandezza geometrica: il semi cerchio, la sfera, che, come il quadrato, risultano forme assolute, esaltando ed accentuando uno spazio come pura espressione di sé. 

“Mi sono trasformato nello zero delle forme”, dichiara Malevic nel 1916, evocando e agganciandosi alle intuizioni della matematica indiana e poi araba, che intrecciano il concetto del nulla, ai fondamenti geometrico-matematici. 

Angela Trapani, ha più volte espresso il desiderio, la determinazione di sganciarsi finalmente da ogni scopo mimetico, di liberarsi dell’orizzonte, di rompere radicalmente con il sistema della rappresentazione prospettica in generale, dalla retorica della mimesi. “L’icona è posta sul confine, sulla soglia incandescente tra visibile ed invisibile”.

Il persistere del modello della figurazione, l’oceano iconografico dilagante, rappresentano il bisogno umano di ritrovarsi in ogni forma, di riconoscersi nelle cose, l’illusione del nostro perdurare e stare al mondo. 

Andare al di là dell’oggetto rappresentato, i semi cerchi di Angela Trapani, che diventano “ATMO SFERE”, moduli per installazioni, apre e prospetta possibilità infinite. Negli anni venti, Malevic, supera i confini della pittura e passa a lavorare ai planiti, non oggetti, non sculture, ma bianche costruzioni plastiche che rendono percepibile il vuoto, energia dello spazio. Non si tratta per Malevic di un gioco o neanche di fredda “indifferenza”, ma vera e totale libertà. Quella libertà, della quale Angela Trapani non ha più paura. 



"ATMO SFERE" 2011 acrilici su tela cm 80x80
Esposto nel 2011 alla Biennale di Venezia Pad. Italia

Esistono dei colori che hanno dentro di loro la qualità, l’attitudine, all’immateriale. Anche tu scegli attentamente dei pigmenti che abbiano una tensione all’astrazione?
Nel canto quando c’è una nota molto alta bisogna prima “pensarla” altrimenti non ci si arriva, ma ci vuole anche dell’altro, la tecnica da sola non basta: così per me è in pittura quando desidero che un colore “canti”, lo penso già mentalmente; non si può improvvisare o liberarsi senza “conoscenza”.
Inoltre per me colori e forme-colore sono legati anche ad un luogo , ad un’atmosfera. Ad esempio fino a circa dieci anni fa non riuscivo a utilizzare il colore rosso ma solo tutte le declinazioni del blu. Nel rivedere poi le cupole di San Giovanni degli Eremiti a Palermo qualcosa è scattato, le ho osservate durante le ore del giorno e della notte e le varie stagioni, ho indagato sul perché di quel colore che non esisteva nell’architettura AraboNormanna per poi sapere, come ho già scritto nelle mie note di lavoro, che è un falso storico avvenuto in epoca tardo ottocentesca e ancora ho continuato a ricercare “qualità” e campiture che potessero far percepire quella determinata atmosfera. Ecco questo è il mio procedere.


E’ come se Malevic, niente raffigurando, fosse alla ricerca di come la potenza del dipingere possa sopravvivere al dipinto. Una visione orientale. In Italia, dove c’è stata la “demonizzazione” della pittura, questa lezione di libertà assoluta non è stata del tutto compresa ed assorbita. Quali sono stati i condizionamenti e gli svincoli per il tuo lavoro?
Presumo la mia “visione orientale”, l’osservare le soluzioni infinite delle geometrie delle architetture arabe e gli intrecci matematici dei muqarnas, fino alla smaterializzazione,
“orientando” il mio dipingere verso l’aniconicità e la percettività.


"ATMO SFERE" 2011 acrilici su tela cm 85x118

Fondamentale per Malevic, fu il suo contributo alla Vittoria sul sole (1913), l’opera poetico-musicale-pittorica di Matiusin-Chelebnikov-Krucenych, per la quale Malevic preparò la scenografia e di cui il sipario per la seconda parte della quinta scena era un quadrato, nel quale il bianco e il nero erano spariti dalla diagonale. Anche le tue sfere trasparenti, riflettenti, si presterebbero per scenografie teatrali o per interventi di Land Art con un riferimento inevitabile a Kapoor?
Direi proprio di sì, soprattutto per un’opera lirica, ma, come Calaf, svelerò “il mio progetto” solo a, e per, la Turandot… Ancor di più per la Land Art, già sperimentata nel 2006 attraverso le saline di Marsala con una semisfera di SALE, che interrompeva il susseguirsi dei cumoli trapezoidali, come un seno materno: il latte del mare, fecondità marina e mentale…Oggi, dopo nove anni, in tema con l’ EXPO.


Alcune tue sfere “costruite” non dipinte, come le aveva definite Tommaso Trini, sembrano cucite, ricamate. Questo elemento le conferisce un carattere tattile e atemporale, come qualcosa di antico e remoto, gettato nello spazio ma catapultato nel futuro. Una deviazione antropologica ed esaltazione femminile?
“Monoliti emisferici” è stato il titolo di una mia personale. Tommaso Trini scrive anche “ne materializza la plasticità …Come per trarne volti carezzevoli…”. Sono ritratti, autoritratti e “ATMO SFERE” in un tempo “PIEGATO” .


Non hai mai pensato di lasciare un paese dove essere artisti non viene del tutto riconosciuto neppure professionalmente ed eticamente?
In Italia la ragione per la quale gli artisti, non sempre sono riconosciuti a livello internazionale è proprio per la mancanza di adeguati spazi istituzionali e di una politica culturale sull’arte… Tuttavia lasciare questo “BEL Paese” è difficile.


Il bianco è l’intervallo di Mallarmè, il silenzio di Manzoni, il vuoto di Malevic. Anche tu hai usato spesso questo non colore.  E’ una costante che perdura?
Una costante non direi, a volte è proprio il materiale che è acromatico come il sale, il tubo di plastica, l’incandescenza di una lampada. Nell’arte il colore bianco è un momento di sospensione che in qualche modo introduce la forma colore.


L’era delle grandi gallerie è tramontata. Come è successo all’estero, anche tu utilizzi il tuo studio, per esporre il tuo lavoro e come luogo di aggregazione?
Lo studio è un luogo importante e fondamentale per l’artista ma può essere anche un luogo di incontro, conversazione per chi è interessato a conoscere ed entrare in una dimensione più autentica dell’esperienza e del fare dell’arte. Da questo punto di vista si può tramutare anche in uno spazio alternativo.


Progetti e sogni futuri? Altre collaborazioni con altri artisti, come quella con la pittrice Florencia Martinez?
Sì, certamente!


"TERRA" (PIANETI) 2014 acrilici su tela 50x50


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