venerdì 19 ottobre 2012

StorieReali presenta: INTERVISTA A ISKRA SGUERA

SOSTENIBILITA' PER PRODURRE UN CAMBIAMENTO RESPONSABILE NELLA SOCIETA' E NELLA QUALITA' DELLA VITA ATTRAVERSO IDEE E PROGETTI CREATIVI



Iskra Sguera, reduce da poco da “Paris Design Week”, come unica designer italiana invitata, ha un percorso complesso e un’identità caleidoscopica perché oggi le competenze di chi opera in questo ambito devono espandersi vorticosamente.

Iskra Sguera si occupa in contemporanea di Progettazione e Ambiente, (eco design) studio, analisi, ricerca, ideazione e organizzazione di eventi (legati principalmente al Fuori Salone) sviluppi e tendenze. Lei ha una grandissima curiosità, non conformista, con la cultura del fare “nuovo” ma con un occhio vigile sempre rivolto al 900’, il secolo della celebrazione del design. Il secolo dei manifesti pubblicitari cromolitografici a Milano, dei vetri di Murano a Venezia, dell’invenzione della “casa moderna” da parte di Giò Ponti, del libro bullonato di Depero, di illustratori come Guido Crepax e Andrea Pazienza, di fotografi come Ugo Mulas , di maestri assoluti del design come Gaetano Pesce ed Ettore Sottsass e di quell’eterno bambino-sperimentatore Bruno Munari.
Iskra Sguera ha scoperto che è meraviglioso quanto gli oggetti possono interagire nella nostra vita, condizionarla e influenzare i nostri gesti, come ti muovi, come ti siedi, con che illuminazione leggi, come mangi, come dormi. Alla quotidianità associata alla creatività e alla poesia, di pari passo si accosta la tutela dell’ambiente e un naturale recupero  di materiali di scarto per dare loro un’altra storia.  Iskra Sguera è continuamente alla ricerca di un’eterna bellezza alternativa ma anche di come questa può migliorare la nostra vita.
sito internet www.iskradesign.it


Sei entrata in produzione con l’Azienda Bosa Ceramiche che ha prodotto “Garden Bag”, un orto trasportabile, un itinerante “green project”. Ricordiamo l’esempio della dinastia Cassina di mobilieri, quando Cesare Cassina prese in mano l’azienda di famiglia rivolgendosi ai migliori: Ponti, Magistretti e Pesce. Come si sviluppa il rapporto con l’azienda? In Italia ci sono ancora possibilità per i giovani designers o è meglio rivolgersi all’estero, ai paesi nordici per esempio?
Dobbiamo avere fiducia nelle possibilità innovative del nostro paese. Nel caso specifico, il mio rapporto con l’azienda Bosa è stato ottimale. Ci sono delle piccole medie imprese nel nord Italia, in Veneto, disposte a lavorare con i giovani seriamente. Nel caso specifico, una volta approvato il progetto non vieni escluso e tenuto ai margini del processo di produzione, ma al contrario si parte con un prototipo in un laboratorio di artigiani a Novi che rappresenta l’anello di congiunzione con l’azienda e il campo aperto per i giovani. Anche designers famosi come Ugo La Pietra hanno portato a termine dei progetti con loro. E’ ovvio che dopo Parigi sono consapevole delle differenze. All’estero ci sono più opportunità, le aziende sono disposte ad investire anche su un giovane non affermato. L’ideale sarebbe la libertà e il coraggio della sperimentazione straniera (al di là del prodotto finito)e il valore legato all’estetica che trovi solo in Italia.
Ettore Sottsass con la collezione Menphis nel 1981, inventa quei mobili coloratissimi che hanno cambiato il volto dell’arredamento di fine secolo. Tutto è già stato progettato oppure c’è ancora spazio per l’esplorazione?  Il ruolo del singolo designer è sostituito da aziende come IKEA, pilotate dal marketing, che avvalendosi di uno staff di giovani designers e architetti punta sulla qualità seriale a basso costo? Cosa ne pensi di questa rivoluzione consolidata,  che non dovrebbe però escludere altri scenari?
Il segreto è di ritornare e riscoprire l’artigianalità. Anche nel mio caso, la filosofia del mio lavoro è quella del pezzo unico e di tempi non industriali. Il processo creativo è un “work in progress” e il rispetto per l’ambiente e la consapevolezza dell’origine e del riciclo del materiale scelto, diventa parte naturale del percorso e non un valore aggiunto. I materiali con cui spesso lavoro sono l’argilla e delle terre naturali, la terracotta e la ceramica che manifestano la predominanza della fisicità. Questo modo di lavorare è conosciuto come “cross-fertilisation”, si colloca tra design e arte e sottolinea il rapporto fondamentale con l’artigiano, che compie metà del lavoro con il designer e con chi lo produce.
Come per l’arte contemporanea, anche il design dovrebbe uscire dai canali esclusivi e privilegiati, sia come costi che come utenti, per poter entrare veramente nella nostra quotidianità. Il tuo progetto selezionato per Parigi “Mignon” piccoli vasi di ceramica per creare diverse composizioni, ha dietro questa filosofia di unicità ma anche di duttile impatto formale, capace di adattarsi alla casa privata, al piccolo balcone come al Book Shop di un Museo. Forse è questo il segreto, una meraviglia accessibile?
Il mio modo di lavorare estremamente flessibile permette una simile “anarchia” nell’interpretazione simbolica e nell’utilizzo finale. I vasi di altezze diverse sono una piccola città, un omaggio a Sironi. In realtà non sono solo vasi per fiori ma a seconda della disposizione e dell’interlocutore possono essere porta oggetti o utensili ma anche sculture e moduli compositivi interscambiabili. Se non provenissi dall’Accademia forse il mio approccio sarebbe diverso, Enzo Mari si permetteva di cambiare continuamente senza essere catalogato in uno stile, proprio perché non era un ingegnere o un architetto. “La Trasformazione” è l’intervento del destinatario che non subisce il prodotto ma al contrario interpreta e interagisce con la sua identità mutante a sua immagine e somiglianza.
L’Ultimo Fuori Salone e gli eventi in Paolo Sarpi, sono stati caratterizzati da un tema di fondo legato alle tematiche dell’eco sostenibilità, del recupero del verde e di come il design universale segue questo nuovo orientamento. Sei stata una delle organizzatrici, hai creato anche un blog  e anche il pubblico è ormai pronto e ricettivo a questa filosofia che porta avanti il tema della consapevolezza del rispetto ambientale ma anche del risparmio e della scoperta di fonti alternative. Il design ha quindi anche un ruolo non proprio politico ma sociale?
Ormai la tutela all’ambiente e l’attenzione alla scelta dei materiali, non è più una prerogativa di un evento o di sperimentatori ecologisti isolati. Esistono delle leggi precise e regole ferree della Comunità Europea che tutte le aziende devono seguire. Molti studiosi ed insegnanti universitari stranieri concentrano insegnamento e ricerca su questi temi. Luigi Bistognino, con i commenti di Carlo Petrini è l’autore del manuale “Design Sistemico”guida fondamentale sulle energie impiegate nell’utilizzo di certi materiali nel processo creativo piuttosto che altri e come dismettere e riciclare gli stessi alla fine del ciclo.  Il problema vero rimane avere accesso ad una rete dei collaboratori ed informazioni tecniche necessarie per portare a termine un progetto. Non per liberarsi delle aziende o scavalcarle, ma al contrario rendere più dinamico e vivace un circuito per ora bloccato in pochi e claustrofobici ingranaggi. Questo migliorerebbe non solo il processo creativo ma anche quello produttivo.
Nella personale che il Centre Pompidou aveva dedicato a Pesce nel 1996, dove sono esposti quei mobili irregolari e abrasivi, che paragonati con il resto tutto ti sembra superato, c’è anche il divano “Tramonto a New York” che oltre ad essere un oggetto d’arredamento è un’opera concettuale. Quando ti capita come assistente d’insegnare al corso di Design di Brera, come riesci a conciliare il tema dei materiali di recupero con l’idea forte che ogni oggetto o progetto di design deve avere? Non è impossibile, basti pensare all’utilizzo del laminato plastico, il materiale connotante della collezione Menphis, quello che Sottsass aveva scovato sui tavoli delle latterie milanesi ed era rimasto incantato.
E’ esattamente quello che spiego agli studenti, insistendo che la tutela dell’ambiente non distoglie dall’intuizione creativa, al contrario partendo dalla scelta e dalla sperimentazione dei materiali, dallo schizzo e dal piccolo prototipo è più facile arrivare ad un risultato finale soddisfacente. Alla fine se viene utilizzato solo il computer e il 3D, Il prototipo è freddo e l’effetto asettico e artificiale.  E anche le aziende non dovrebbero essere identificate nella ripetizione dello stesso materiale.
La percezione fisica degli oggetti è indagata in maniera magistrale dall’americano Donald A. Norman nel libro “La caffettiera del masochista” – Psicopatologia degli oggetti quotidiani, lo consiglio sempre a chi vuole stravolgere l’identità di un oggetto con la forma in maniera superficiale.
Per vent’anni Gaetano Pesce, uno dei geni del design italiano, è stato fuori dall’Italia, prima in Francia e poi a New York e in Italia è riuscito a progettare ben poco. Sono pochi gli anni che il design ha un suo Museo nel Palazzo della Triennale di Milano, i giapponesi e i tedeschi in questo ci hanno preceduto. Dopo l’inizio sfolgorante, come mai in Italia ancora non si considera il design una fonte redditizia legata al progresso e al futuro economico del nostro paese, sullo stesso piano del turismo e della moda?
E’ triste, ma in Italia manca la cultura sociale, quella che dovrebbe partire e nascere dalle scuole e nelle famiglie per poi diffondersi nella mentalità a livello collettivo. Ho fiducia nella diversità dei giovani, ma capisco anche la loro fuga all’estero. La professionalità e lo stile di vita sono strettamente connessi e non due mondi paralleli destinati a non incontrarsi o ancora peggio essere dominati da variabili che nulla hanno a che fare con il talento e la qualità della vita.
Nel tuo lavoro ti relazioni sia con artisti che con designers, che differenza c’è, quale sottile demarcazione e confine divide le due categorie? Gli uni invidiano gli altri per l’aggancio con la realtà e l’eventuale progettazione su larga scala e gli altri contestano il valore estrinseco dell’unicità dell’opera irripetibile. Come ti destreggi e riesci qualche volta a trovare un territorio comune di confronto e lavoro?
Il territorio comune è l’eco sostenibilità e il rispetto dell’ambiente. L’artista non è più isolato nella sua torre d’avorio, come il designer non è confinato nei canali ristretti della produzione. La rete è anche la condivisione delle esperienze e delle competenze tra colleghi e questo smuoverebbe dei canoni e delle dinamiche sterili ed obsolete. Il canale di comunicazione con un pubblico più vasto è condividere gli stessi bisogni e voglia di migliorare le città dove viviamo, difendendo e diffondendo il verde, per esempio.
Dopo Parigi, tutto ti sarà sembrato leggermente nebuloso, ristretto e poco rassicurante..quali sono i tuoi progetti futuri e cosa consigli a un giovane designer che non conosce ancora le dinamiche di una eventuale produzione? E come conciliare la ricerca e la possibilità di essere autonomo economicamente? Oltre che viaggiare bisogna studiare, documentarsi non solo digitalmente, tu hai sempre in mano qualcosa di cartaceo e adori opuscoli e cataloghi, il designer ha bisogna di fisicità e concretezza, forse è da lì che parte la sua avventura?
Partire dal concreto, vuol dire lavorare manualmente senza smettere di indagare l’attualità ma anche la storia. C’ è un filo rosso che unisce la poesia e il marketing, il Partenone e la poltrona, la “Rosso e blu” disegnata dall’olandese Gerrit Thomas Rietveld nel 1918. E da coloro, che vogliano aprirsi una strada nel mondo, questo filo non può essere spezzato.  

                                                                                                                                            
LA BIBLIOGRAFIA DEL DESIGN
di ISKRA SGUERA

Il giardino in movimento - da La Vallée al giardino planetario
Bollati Boringhieri

Mente e Paesaggio. Una teoria della vivibilità
di Ugo Morelli 

 

Breve trattato sulla decrescita serena
di Serge Latouche 


Design per la sostenibilità ambientale
di C. Vezzoli e E. Manzini

Ed. Zanichelli


Design Sistemico - Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale
di L. Bistagnino

Ed. Slow Food - collana Slowbook

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