mercoledì 6 febbraio 2013

Anteprima del romanzo "Andrea negli anni '80" INTERVISTA A GIANNI BARBACETTO

Gianni Barbacetto
illustrazione di Stefano Delli Veneri
per il libro "Andrea negli anni '80"


Oggi StorierReali vi propone un'altra anteprima del libro di Miki Solbiati e Duccio Locati "Andrea negli anni '80".
Gli anni Ottanta sono raccontati, questa volta, dal giornalista e scittore Gianni Barbacetto.




Gli anni Ottanta? Il “riflusso” dopo i decenni dell’impegno sociale e politico, in cui un movimento di milioni di ragazzi, in Europa e in America, ha sognato, sperato e creduto di cambiare il mondo. Il ripiegamento nel privato dopo una straordinaria, irripetibile stagione di vita collettiva, in cui si sono rivoluzionati la cultura, la musica, i rapporti sociali, è cambiato il modo di vivere i rapporti con l’autorità, i genitori, il sesso, la musica, la moda.
Milano, poi: negli Ottanta è la “Milano da bere”, quella del ritorno alla ricerca del successo individuale, della carriera, dei soldi, dopo la grande ubriacatura dei Settanta, in cui prevaleva la spinta collettiva (un’ illusione?) che sperava di cambiare la storia. La “Milano da bere” è quella dei manager rampanti, serate a Brera e ristoranti alla rucola, che diventano presto i protagonisti di Tangentopoli. Affari e politica, sorrisi e mazzette, successo e corruzione. 
Cambia, la città. Anche visivamente. Più luci e meno nebbia, più soldi e più sorrisi.
Basta con gli anni di piombo, con gli scontri e la violenza. Business e vita notturna.
Si esce, la notte, ci si diverte.
Luci e ombre, in un passaggio di fase che è difficile descrivere senza cadere nei luoghi comuni. Comunque i Sessanta, e soprattutto i Settanta, erano anni in cui si viveva in pubblico. Ci si sentiva parte di un collettivo. Dentro un fiume che travolgeva le convenzioni e le istituzioni, rivoluzionava la scuola, l’università, la fabbrica, i quartieri, la cultura, le case editrici, i partiti, la politica, la famiglia, perfino la chiesa. Parola magica: “movimento”. Una forza collettiva che trascinava e macinava i relitti del passato e cambiava la vita. Si prendeva la parola: basta stare zitti: ciascuno poteva dire la sua, in pubblico, in classe, in assemblea, all’università, in fabbrica, nel collettivo, in famiglia, in manicomio, sotto la naja, in chiesa…
Poi l’ideologia trionfa, la violenza prende la mano, il cambiamento si perde in vicoli chiusi che puzzano di sopraffazione e lotta armata. Il “movimento” si smarrisce in vecchi riti (parate da Terza Internazionale ma, peggio, “novità” da Partito armato).
Segue riflusso, meglio le rose che non il pane, celebriamo il privato (che tanto è politico).
Gli Ottanta arrivano così: l’edonismo reaganiano, il ripiegamento nel privato, dopo l’ubriacatura collettiva. Meglio la discoteca che il collettivo.
Una sconfitta, dunque. L’inverno ha disperso la risposta che era soffiata nel vento.
Cambia la città: apparentemente è meno cupa, più allegra, a colori. Eppure negli Ottanta spensierati covano la ristrutturazione della fabbrica, la morte dell’aristocrazia operaia, lo sfilacciamento dei rapporti sociali, la fine dei luoghi concreti di socializzazione (la sezione, la casa del popolo, la parrocchia, il circolo, il cineclub, il bar…) e il trionfo della TV commerciale. Ognuno sta solo davanti al suo televisore a colori.
Perfino la droga, che prima era cercata (illusoriamente, d’accordo) “per ampliare la percezione”, per “dilatare l’esperienza sensoriale”, diventa rifugio individuale per sopportare il mondo, per godere il piacere, per aver la sensazione di aumentare il potere. Circola meno eroina e più cocaina, che diventa il prodotto più “cool” (il termine non c’era ancora) e le famiglie mafiose si installano comodamente anche al Nord. La politica diventa intanto Tangentopoli: macchè cambiare il mondo, piuttosto sistema di potere e macchina per far soldi.
Il design e la moda, che erano state creatività, cominciano a diventare sistemi finanziari, trucchi per quotarsi domani in Borsa (e poi, quando la bolla scoppia, fallire).
Tutto da buttare, dunque? Ma no. L’ideologia non può tagliare come un coltello il buono e il cattivo, con il passato sempre meglio del presente. Un decennio divertente, quello degli Ottanta, con tanti bei film e una musica più leggera ma piena di proposte innovative. Sul momento si storceva il naso, davanti ai Duran Duran che facevano dimenticare Bob Dylan e i Deep Purple. Ma c’erano i Depeche Mode e i Simple Minds, gli U2 ed Elvis Costello, gli Style Council e i Rem, gli Smiths e i Tears for Fears. E gli Eurythmics! E i Guns n’Roses! E c’erano Anche Madonna, Cyndi Lauper, i Pretenders… E alla fine: quanto era divertente la disco anni Ottanta!
Intanto, fuori dalle discoteche, è vero che cresceva Tangentopoli. Ma nasceva anche la prima cultura politica postideologica, quella costruita non sull’asse destra/sinistra, ma su legalità/illegalità. Nasceva a Palermo il movimento antimafia, a Milano il circolo Società civile. Ci siamo divertiti, negli anni Ottanta, e siamo cresciuti con un Paese che odiamo e amiamo. Allora come oggi.


Copertina dell'ultimo libro di Gianni Barbacetto
edito per Chiarelettere nel dicembre 2012


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