martedì 15 ottobre 2013

StorieReali presenta: INTERVISTA A MICHELA BALDI

Il sublime è ora



“But a painting has to hold it, world without end, in its limits” Willam Blake

Lo scritto “The Sublime is now” fu pubblicato sulla rivista di Betty Parsons “Tiger’s Eye” nel dicembre del ’48. Il titolo del numero monografico era “The ideas of Art. Six opinions on what is Sublime in Art”.
In questo testo assieme al contributo di altri artisti, Barnett Newman considera fallito il tentativo delle avanguardie europee (dal cubismo al surrealismo dal dadaismo all’astrattismo) di liberarsi definitivamente dal concetto di Bello: “… Tocca agli artisti americani, liberi del peso della cultura europea, rispondere all’interrogazione e all’appello del Sublime, negando decisamente che l’arte abbia qualcosa a che fare con il problema della bellezza e di dove trovarla”. Michela Baldi,nell’arco della sua articolata e lunga ricerca e in particolar modo in occasione della sua ultima personale,alla galleria di Jean Blanchaert, è partita da questo crocevia fondamentale. Sorge spontanea ed inevitabile la domanda che accomuna Michela Baldi ed un’intera generazione di artisti, di come, se viviamo in un tempo senza leggende o miti che possano dirsi sublimi, come dunque potranno creare un’arte sublime? Michela Baldi sceglie il non colore per eccellenza.

Il nero, strumento privilegiato per alterare la prospettiva e liberare il dipinto dalla cornice, per inventarsi
uno spazio inedito, indipendente dai confini spazio temporali. Il dato reale, le fotografie di elementi architettonici autentici, situati in India, è archiviato dalla consapevolezza che, il problema non è più rappresentare qualcosa, ma quello –già impostato da Malevic, - di creare un evento spaziale. Newman e Rothko, volevano che i loro quadri fossero guardati a distanza ravvicinata, come vissuti dall’interno. Il confronto dello spettatore non è più frontale e solo visivo ma psicologico e fisico. Michela Baldi adotta una tecnica mista: carboncino, collage e carte veline, che stratificano l’intera superficie Ed è questa totalità spaziale, che supera e trascende il soggetto, il trattamento “assoluto” del colore, che attualizza il Sublime, giocando sul significato profondo di infinito, di vuoto e indeterminatezza oggettuale, esaltando l’atto stesso, il luogo della visione, l’evento della pittura. Nella sua installazione: “Ho lasciato il mio cuore in Finlandia,” l.’artista, visualizza un bosco con bianche e fragili costruzioni verticali in movimento, che rendono percepibile il vuoto e condividono le energie con lo spazio. Partendo da una sua esperienza emotiva diretta, Michela Baldi ancora una volta, compie un’inversione di rotta, lei non è più solo interessata ai propri sentimenti ed ad indagare la propria personalità ma a penetrare nel mistero del mondo, cercando di coglierne i segreti. La volontà di andare oltre l’universo visibile e conosciuto, in questo progetto, spinge l’artista a lavorare con forme anche a lei sconosciute. Michela Baldi non ha paura e come un vero creatore, si avventura nel caos, cercando di ascoltare i battiti del vuoto e ridisegnare la sua forma invisibile.

www.michelabaldi.com


"Ho lasciato il mio cuore in Finlandia"
installazione, misure variabili - 2013

Il Suprematismo di Malevic, è un mondo senza oggetti. Per questo lui resta insieme a Duchamp l’artista più radicale del Novecento. Accelerando progressivamente, attraverso una pratica dell’”invisibilità”, negli anni Venti passa a lavorare ai planiti, non oggetti, non più sculture, ma bianche strutture plastiche che ricordano gli spazi bianchi della pagina di Mallarmè. Anche nel tuo caso, “le visioni nere”, diventano architetture inventate, inedite. C’è sempre la presenza degli opposti: costruzione e negazione, silenzio ed eco, traiettorie e ignoto, narrazione e mistero. Questo dualismo contraddittorio, è sempre presente nel tuo percorso creativo?
La strada della sperimentazione non è mai a senso unico, implica deviazioni in salita e passaggi apparentemente contraddittori ma che amplificano ed indagano le soluzioni mai definitive. Nella fase progettuale, tutto si trasforma ed eliminando il superfluo, inattese visioni e significati inediti, si addensano e si modulano a livello visivo e soprattutto mentale. 
L’imprevisto accidentale e il risultato che accade non pianificato, fuori dal nostro controllo e non previsto nel progetto iniziale, sono in realtà la componente più affascinante ed utile alla risoluzione dell’opera. Se non riusciamo a lasciarci andare e fare tesoro di queste risorse, non potremmo più sperare in nessun progresso o cambiamento futuri.

Le tue visioni oscure possono attrarre ma suscitare anche sgomento, come aveva teorizzato Edmund Burke. Sublime, dunque, è questa tensione dinamica all’impossibile. La Natura non è presente e neppure la figura umana. Il tuo scopo è di concentrare lo sguardo e l’attenzione sullo spazio inventato? Spazio, che è comunque non facile da percepire, poiché la superficie non risulta omogenea e le linee bianche del disegno non servono per delimitare confini ma per espandere i piani.
Il desiderio di conquistare e coinvolgere lo spettatore, mette in moto le dinamiche tecniche ed espressive. Superato l’iniziale spaesamento, l’interlocutore è avviluppato e sospinto nel vortice della stratificazione, ma non c’è costrizione o passaggi obbligati. Piuttosto, si tratta di una visita guidata, che poi si traduce nella totale libertà interpretativa, come accade in un dialogo. L’era dei monologhi autoreferenziali da parte degli artisti , ha generato il deserto intellettuale ed emotivo.

L’Iconografia femminile è stata un altro campo d’azione del tuo percorso. Ma anche in questo caso, non ti sei limitata alla distorsione e al travestimento, come aveva attuato con i suoi autoritratti Cindy Sherman. I visi sovrapponendosi negano e contemporaneamente stabiliscono diverse identità. Il gioco del saccheggio delle figurine che non smettono di auto riprodursi. “Nature morte rivitalizzate dall’ironia”?
E’ solo attraverso l’ironia, che possiamo affrontare l’universo dell’icona femminile. Per non rimanere in superficie, si attua ancora una volta il procedimento inverso. Quel modello, che per secoli è stato rigidamente codificato e relegato in ambiti ben precisi: la sacralità e la maternità, deve necessariamente essere smantellato e destrutturato. Il prototipo della Barbie, sempre attuale, è l’estrema parodia, della perdita dell’identità e dell’esaltazione del trash. David Lachapelle, è stato un pioniere della costruzione artificiale. Le persone come manichini, in una realtà che si sfalda per ricomporsi, sugli scenari di set cinematografici e pubblicitari.

"duebarbiecopia" 
35x50 cm stampa lambda su plexiglass - 2010

Ci sono delle tue lanterne illuminate che moltiplicano e riflettono l’azione : l’uomo che avanza facendo capriole. Ma non si tratta di una citazione di Muybridge. E’ il nostro modo di guardare e giudicare che vuoi analizzare. E’ la luce il tuo strumento espressivo privilegiato e il suo potere di distorcere ed enfatizzare lo spazio e la sua identità?
Ogni artista nel presente e nel passato, si deve confrontare con la luce, partendo dall’oro delle aureole antiche, passando da Caravaggio, per arrivare ai Concetti Spaziali di Lucio Fontana, fino alla “Gold Marilyn” di Andy Warhol. Per quanto mi riguarda, un testo fondamentale è stato: “Le porte regali” di Pavel Florenskij un’indagine sulle icone, e ai colori come strumenti di luce, si arriva così ad una sintesi spirituale e materica.

Le tue “Crocifissioni ironiche”, non vogliono essere dissacranti, ma sono una riflessione sul corpo femminile. Un kit di pezzi di ricambio, un insieme di manichini mentali .. Essi ci stuzzicano, e noi cominciamo a smontarli: rimuoviamo sezioni di un sorriso, la posizione delle gambe, una fessura eccitante. Le parti sono interscambiabili, come le operazioni che immaginiamo di eseguire su alcune donne intoccabili. Artificio e realtà combaciano in continuazione nella tua opera?
Il mio lavoro si elabora in diverse fasi, quella iniziale è la fotografia, l’immagine istantanea della realtà. Scatti mai casuali. Avendo avuto un padre che era insegnante e direttore della Fotografia e della “Luce”, alla prima scuola di Cinema di Milano, ho un timore e una venerazione sconfinati nei confronti di questo mezzo .Ma è dalla composizione fotografica, dal reale, che parto per esplorare ed architettare lo “spazio interno”, che è quello invisibile della mente.

In Italia, chi proviene e si muove in diversi ambiti è visto ancora con sospetto. Le tue esperienze nel campo della pubblicità e della grafica hanno influito sulla tua tecnica? Il disegno rimane comunque, il tuo strumento privilegiato anche se la fotografia diventa il tuo archivio della memoria dal quale attingere le basi per elaborare concretamente la tua opera.
E’ proprio grazie alla mia esperienza sul campo della grafica e della pubblicità, che cerco oggi, di far coincidere immaginazione e dialogo, complessità e chiarezza, senza concessioni o scappatoie ma con la volontà di conquistare ed essere capiti dal proprio interlocutore.

Carol Rama, Vanessa Beecroft , Nike Saint Phalle, Marisa Merz. Eppure in Italia persiste un maschilismo rintracciabile anche nel sistema dell’arte. Duchamp addotta uno pseudonimo femminile per essere libero da fraintendimenti e dai pregiudizi . Qualcosa è cambiato?
In modo impercettibile ma è proprio questa cristallizzazione che comporta nella donne più impegno e coraggio, per potenziare ed inventare nuovi scenari, dove tutto è ancora possibile ed imprevedibile. L’unico rischio è l’adozione di tecniche e mezzi espressivi già storicizzati e datati, pur di ottenere il benestare del mondo dell’arte.

Ritornando ai tuoi ultimi quadri, una galleria trionfante di architetture dell’inconscio, ma che sono anche un territorio di scambio, per far coincidere l’esperienza estetica con quella esistenziale. Tu stessa confermi ed indichi la possibilità attuale dell’artista di aprirsi al mondo?
Anche l’installazione del bosco: è un ulteriore tentativo di tirare in mezzo, chi si avventura al suo interno. L’approccio in questo caso, nonostante la lettura del testo, è essenzialmente fisico e alla vista del cuore, dove è accovacciata una ninfea, costretta a galleggiare fluttuante nel nero, come autrice , faccio un passo indietro, mi sottraggo, per lasciare questo spazio da ripercorre ed inventare nuovamente.

Progetti futuri? Un territorio di ricerca privilegiato?
Un’ opera unica. Come uno schermo cinematografico. Un immensa superficie dai toni oscuri, ma tempestato dalla luce, a metà strada tra il quadro e l’installazione: una città in bilico tra “Blade Runner” e Babilonia,una storia infinita, che riguarda ognuno di noi.

"In India ci sono porte misteriose"
70x100 cm  collage e carboncino su tela - 2012


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