venerdì 9 gennaio 2015

StorieReali presenta: INTERVISTA A LUIGI BILLI

                               “La costruzione fotografica di Luigi Billi” 

L'artista Luigi Billi, scatto di Francesco Moschetto
Nel 1923 Marcel Duchamp conclude, lasciandola incompiuta, la sua opera più conosciuta e tuttora misteriosa: Il Grande Vetro, chiamato anche La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli. Mai lavoro ha suscitato così tante polemiche e controverse critiche, eppure, come ha mostrato Jean Clair, non si tratta che di una ricerca sulla prospettiva e sulle geometrie pluridimensionali, ma il titolo attribuitole da quel maestro del linguaggio e dell’ironia che era Duchamp, ha notevolmente contribuito a rafforzarne il suo enigma intrinseco. 
Luigi Billi, ha approfondito ed interpretato la lezione duchampiana e la sua intera opera, pur non trattandosi di installazioni, ma di cicli di fotografie, contraddistinte da temi sempre diversi, ha una forte componente letteraria e lirica.
Per l’eclettismo e la libertà espressiva, Luigi Billi, è poi, riconducibile al dadaismo e all’importanza, al di la’ dell’impegno politico e sociale, del ruolo fondamentale degli artisti di tale movimento, nell’esplorazione delle nuove tecniche e dei mezzi espressivi moderni come il collage, la composizione tipografica, la fotografia e il cinema.
Dovendo vivere ed interpretare un paesaggio naturale sempre più artificiale, Luigi Billi mescola gli elementi, l’iconografia e gli archetipi della cultura alta e di quella cosiddetta, “Nazional Popolare”, esaltandole reciprocamente, senza il distacco seriale di Warhol ma neppure l’elogio al caos della quotidianità dell’Iperrealismo. 
Emblematica, in questo ribaltamento di stereotipi e paradossi, è la serie dei lavori sui Baci Perugina, l’apoteosi del trash, il massimo del Kitch, che Luigi Billi, trasforma in qualcosa di completamente nuovo, come impatto visivo e teorico. Uno zoom fotografico di ravvicinamento e dilatazione, dei famosi bigliettini stampati con messaggi d’amore di poeti e filosofi, aperti ed accartocciati, trasformano quest’ultimi in superfici tridimensionali, quasi delle sculture di carta, delle lapidi leggere e fantascientifiche, atemporali, dove realtà e astrazione, buoni sentimenti e citazioni colte s’intervallano e slittano, in movimento e scambio continui.
E’a Man Ray e alle sue protagoniste fotografate senza tregua, spesso travestite ma anche carnali, che sembrano ispirarsi le altre Donne di Luigi Billi, che indagano e raccontano l’identità femminile, sottolineando, con ironica leggerezza, illusioni, aspettative, luoghi comuni e pregiudizi consolidati. 
Non teme, l’artista, neppure l’avventura della rielaborazione dei generi, come la Natura morta e il Paesaggio. Nei “Cieli di Bosco”, con scorci fitti ed intricati di foglie e rami, il cielo non si vede, quel cielo che Luigi Billi ci aiuta e spinge ad immaginare con raggi di luce, cinguettii sottintesi e fruscii di vento percepiti. 
Prende corpo, spessore e sostanza materica l’opera fotografica di Luigi Billi, dove ombre, pieghe e parole cambiano la prospettiva, l’interpretazione e la visione di questo racconto “provocato”, che si sottrae, per reinventarsi ogni volta. 
http://www.luigibilli.com/

Naturae, 2004; cm 100x70; tecnica mista su fotografia

Per le tue “Naturae”, ti sei servito dei testi poetici di Marco Vallora. Come scaturisce questo rapporto di collaborazione? Nascono prima le composizioni fotografiche e poi i testi, o viceversa? Ipotizzi ulteriori scambi visivo poetici, in futuro, con altri autori?
Con Marco ci siamo conosciuti al festival del cinema di Venezia nel 1979. Pur tra gli alti ed i bassi comuni alle lunghe amicizie e nonostante i reciproci cambi di città, interessi e amori, siamo riusciti a non perdere mai il filo della nostra amicizia. “Naturae” ha rappresentato la prima occasione di unire anche i nostri lavori. Avevo da poco finito la serie completa di queste molto personali Nature morte e cercavo la Persona viva adatta a scriverne, di ognuna, un’impressione. Desideravo poter affidare queste immagini a chi avesse piena consapevolezza, anche storica, del genere; per poterne così cogliere la parte interpretativa del lavoro e restituirne per iscritto un senso. Sino ad ora, nei cataloghi auto-prodotti, ho sempre offerto ampio spazio alla scrittura che ritengo rappresenti un apporto necessario, interpretativo, che si rivela spesso utile a costruire una prima interpretazione in chi vede il lavoro. Gli scritti sono anche un respiro tra le immagini, un cambio di tono: con il loro contributo i cataloghi hanno una scansione, un ritmo. Personalmente poi, ritengo utile cambiare il punto di vista interpretativo, per questo sollecito spesso interventi che provengano da ambiti diversi -dalla poesia alla psicoanalisi- e non solo dalla critica e dalla storia dell’arte e della fotografia.

Nel ciclo: “Cara Mamma stiamo tutti bene. Caro Babbo siamo tutti morti”, sono presenti delle immagini di soldati in battaglia, simboli universali del conflitto. La Fotografia può essere anche un luogo di riflessione, provocazione ed invito all’introspezione per lo spettatore? 
Certamente sì. L’arte -tutte le arti- possono essere sentinelle, anche politiche. Nelle democrazie, come nelle dittature. Durante le guerre e negli anni di pace. Le fotografie hanno partecipato a formare la modernità così come la conosciamo. Quello che un tempo si raccontava, con l’avvento della fotografia viene testimoniato: assume in sé il senso di realtà. Ad un diverso livello, personale e intimo, l’arte -che sia musica o pittura, passando sulle punte di un balletto- è capace di essere uno specchio che riflette le emozioni e i sentimenti di chi ascolta o guarda. Ed il ritorno indietro di questo riflesso, non ci lascia mai eguali.

Cara mamma stiamo tutti bene, Caro babbo siamo tutti morti
1999; cm 110x80, tecnica mista su fotografia

Nanni Balestrini, poeta visivo, usa modificare, alterare e piegare il supporto delle sue composizioni verbo-visuali. Anche nel tuo caso, oltre alla ricerca iconografica, l’aspetto materico e l’alterazione manuale della superficie, è una costante della tua ricerca. E’ un modo per conferire un’identità pittorica, quasi scultorea, al tuo lavoro fotografico? 
La mia ricerca abita una linea di confine tra la pittura e la fotografia. Le basi su cui lavoro sono sempre fotografiche. Spesso la carta stampata viene in qualche modo e con qualche mezzo dipinta, prima di essere accartocciata, riaperta, intelaiata. Cerco così di trasmettere in materia un sentimento doppio, che vive tra il rifiuto (il gesto di accartocciare, respingere, sciupare) ed il recupero (il gesto di riaprire, accettare, salvare). Questa ambiguità mi pare più legata alle illusioni della pittura che ai nitori della fotografia. 

Ogni tuo progetto fotografico, ha un tema di fondo, che sviluppi, non solo attingendo ad un repertorio iconografico già esistente, ma anche attraverso l’aspetto materico. E’ la storia che vuoi raccontare che, ogni volta, ti guida nella scelta compositiva e dei materiali? 
Mi interrogo spesso su quali siano le molle che interiormente determinino la messa a fuoco dell’oggetto da osservare, poi indagare ed infine elaborare e restituire con una soggettiva interpretazione. E pur ponendo attenzione alla parte iniziale di questo processo, non sono in grado di definirlo. Mi fermo a poter dire che sono una serie di co-fattori a determinarlo: vanno dal caso, alla sincronia, ad un affiorare al pensiero di elementi inconsci; ed infine è il mestiere che mette in forma, in bella, l’amalgama descritta. Quest’ultimo elemento, l’esperienza, è quello che decide la materia con cui dare forma all’intuito e al pensiero. Credo però che sia anche utile ricordare gli aspetti meno aulici: i costi di realizzazione, le occasioni espositive, i trasporti, la facilità di immagazzinare quello a cui si è dato corpo.

La Fotografia in Italia, e’ ancora confinata in una dimensione ambigua rispetto all’estero. Da una parte l’opera d’autore, l’ambito strettamente commerciale e il linguaggio fotografico scaturito, come documentazione all’happening, alla performance e alla video arte, dall’altra la fotografia, intesa anche come strumento di base, per sperimentazioni con altre discipline, come quella pittorica, basti ricordare Gerhard Richter. Come si colloca e vuole distinguersi il tuo lavoro in questo panorama? 
I fotografi professionisti mi considerano un dilettante. I pittori, un fotografo. Sono consapevole che il mio lavoro artistico è legato alla mia vita più che a quella degli altri. Il mio interesse non è tanto quello di essere rassicurato da una definizione e che questa venga condivisa. A me preme materializzare, con il minor numero di filtri di cui sono capace, un’idea, un’ emozione: una volontà espressiva.

Untitled kisses, 1993; cm 100x70; tecnica mista su carta fotostatica


Il tuo lavoro, potrebbe essere esposto anche in gallerie non solo dedite alla Fotografia. All’estero, dove tu hai già comunque esposto, le tue opere, non avrebbero un’interpretazione e una valorizzazione più ampia e articolata? 
A Milano, per esempio, prima di lavorare con Spaziofarini6, che è una galleria prettamente fotografica, ho lavorato con la galleria San Carlo che si è sempre occupata esclusivamente di pittura. Vi entrai per caso: era una quota del Premio Nescafé che vinsi nel 2001. Non vedo Giancarlo de Magistris da tempo e quindi non so se, dopo le mostre fatte insieme, ha poi proseguito una ricerca ed una commercializzazione anche della fotografia. Il lungo stallo in cui da molti anni è immerso il nostro Paese, fa sì che anche chi fa il commesso avrebbe oggi maggiori garanzie e prospettive all’estero (inteso come Occidente liberale)... Questa indicazione vale a maggior ragione per tutto il lavoro in cui è prevista la protezione del Diritto d’Autore. Laddove lo Stato, con Leggi di valorizzazione e protezione, sostiene lo sviluppo del lavoro cosiddetto ‘intellettuale’.

Oggi, impera il digitale e anche in ambito artistico, l’immagine fotografica prodotta e ricavata dal cellulare. Il tuo lavoro, come si accomuna e si distingue rispetto a questa tendenza? 
Sono più interessato alla costruzione di un’ immagine che alla sua immediatezza e anche quando fermo lo sguardo su qualcosa di naturale, come un bosco, bene o male finisco per teatralizzarlo, al fine di aumentarne le potenzialità simboliche. Per questo ho usato in prevalenza l’analogico ed ho comprato soltanto da pochi anni una macchina digitale, che ormai uso con frequenza. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una drastica diminuzione industriale di tutti i prodotti -dalla pellicola alla carta, alla carta stampa esclusivamente in bianco e nero- legati alla fotografia ed in particolare a quella analogica. 

Cosa consigli ad un giovane, che vuole essere un fotografo diverso e di qualità, in questa crisi economica e di contenuti? 
Di non avere fretta.
Di cercare prima in sé stesso/a quello che andrà poi a fotografare al di fuori di sé. 
In altre parole: gli consiglierei di non prendere scorciatoie, consapevole che, ad un certo punto della vita, siamo stati tutti spinti a cercarle. Quando comprendi di essere in una scorciatoia, estetica o morale, devi avere la forza e la pazienza di tornare indietro e riprendere la tua strada. Ma per farlo devi conoscerla, devi averla individuata e strutturata interiormente. 
Sul piano pratico, gli consiglierei magari di fare due lavori, affinché la parte creativa non sia posta sotto pressione dalle necessità materiali che, spesso, hanno fretta e che sono tutte esterne: come la bolletta della luce.

Progetti ed esposizioni future? 
Save the date! Il prossimo 5 febbraio a Roma, alla Galleria Monty&CO, in via della Madonna dei Monti 69, farò una doppia personale con Andrea Ruggeri per la cura di Serafino Amato. Esporrò un’ edizione aggiornata della serie “Cara Mamma stiamo tutti bene, Caro Babbo siamo tutti morti”
Nell’arco del 2015 in una data ancora da definire, tornerò a distanza di 4 anni nella galleria Spaziofarini6 di Milano dove, con Giovanna Lalatta, pensiamo di esporre l’ultima serie di lavori, “Eroi”: immagini fotografiche in bianco/nero di monumenti marmorei ritratti in diverse città e trattati in superficie con polvere di marmo.

Cieli di bosco (particolare); 2009; cm 90x200
tecnica mista su fotografia









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