mercoledì 19 novembre 2014

StoreReali presenta: INTERVISTA A ENZO CANNAVIELLO

                   
                              “La meravigliosa inadeguatezza della Pittura”

Il gallerista Enzo Cannaviello

La storia dell’arte italiana, è stata costellata nel passato da artisti che hanno inteso la pittura, pur con i paletti e i limiti dell’iconografia religiosa, come un ponte tra diverse discipline e come territorio di immense innovazioni e straordinarie sperimentazioni sia visive che intellettuali. Giotto, anima e umanizza le statiche figure bizantine, Michelangelo, nella perfezione della forma, si confronta con il divino, Raffaello nelle sue stanze apre un dialogo con la filosofia, Leonardo inventa con la scienza, Piero della Francesca innesca la prospettiva e Caravaggio utilizza come al cinema la luce, per illuminare una rivoluzione sociale: i derelitti  seduti di fianco al figlio di Dio. Saranno poi i Futuristi, esaltando la deformazione della forma in movimento, a distinguersi, nell’ambito delle avanguardie storiche. Dopo l’apoteosi dell’astrattismo e dell’Informale e la distruzione della figurazione, per indagare lo spazio oltre e fuori la tela, Manzoni, Burri e Fontana aprono la strada al Concettuale, al Minimalismo e all’Arte Povera. L’utilizzo di tecniche miste con i media segna il passo alla video-arte, all’installazione e alla performance, l’immagine dipinta e la fotografia  in Italia, che procedono parallelamente. Mentre il pittore inglese Francis Bacon, attraverso la potenza delle sue figure deformi e avvitate, urla l’orrore e le atrocità della storia, alla fine degli anni 70’, Achille Bonito Oliva lancia la bomba della Transavanguardia. Parallelamente ad un profondo cambiamento politico, filosofico e sociale, rinasce la pittura, in tutte le sue declinazioni e nuove connotazioni, dal colore cangiante, alla figurazione. E’ in questo caotico crocevia, che si colloca l’esperienza del gallerista Enzo Cannaviello e il suo impegno teorico e d’investimento per i protagonisti del Neoespressionismo Tedesco e i Nuovi Selvaggi, in particolare.

I corpi a testa in giù di Georg Baselitz, i paesaggi dai colori acidi e dal segno sfuggente di Fetting, le tele sovraffollate e caotiche di Sigmar Polke e la natura furiosa e patologica di Bernd Zimmer. Lo stesso Enzo Cannaviello, ogni volta, avverte sul pericolo di fraintendere e di distorcere il vero significato del lavoro e della ricerca di questi artisti, pur nella loro complessità e differenza. Non c’è nessun compiacimento fino a sè stesso nell’utilizzo del colori primari, nessuna indulgenza estetica o in un nostalgico ritorno all’immagine. Al contrario, la forza e l’energia del segno spontaneo e l’esplosione cromatica, concentrano l’attenzione sui mezzi e sul linguaggio pittorico, sul corpo stesso della pittura. L’atto stesso del dipingere, e come questo si esprime ed è destinato a mutare, è il vero soggetto e la novità, che accomuna questi artisti tedeschi, assolutamente diversi dagli esponenti della Transavanguardia, dai Nuovi Nuovi di Barilli o dal Magico-Primario di Caroli e dalla Pittura Colta di Calvesi. E il merito che a loro è riconosciuto, al di là delle legittime preferenze  dei singoli fenomeni o dalle quotazioni di mercato, è proprio quello di aver aperto e liberato la strada alle generazioni future e  di aver riportato in primo piano il  processo stesso del linguaggio pittorico e della sua portata etica e del rigore della ricerca, che non può essere disgiunta dallo stile e dalle tecniche pittoriche sperimentate. Lo stesso impegno e la stessa potenza espressiva, che hanno  caratterizzato e contraddistinto la grande pittura Italiana del passato. 
Senza questo passaggio cruciale e questa rivolta alle asettiche ed estemporanee tendenze di mercato, neppure due artisti tedeschi come Anselm Kiefer e Gerhard Richter, avrebbero avuto via libera alla loro affermazione senza precedenti. Non a caso, il primo recupera il senso tragico della storia tedesca, attraverso il processo di distruzione e rinascita e il secondo mescola astrazione ed  iconografia, in un continuo slittamento di stili e tecniche. Quella stessa libertà e dirompente espressione, che ritroviamo negli artisti di ieri e di oggi, che hanno affascinato e che continuano  a sedurre Enzo Cannaviello.

http://www.cannaviello.net/



Ettore Tripodi, Le ultime parole di Babele, 2013,
cm 30x30, tecnica mista su carta


L’introduzione e capillare diffusione dei media e dei mezzi tecnologici e il radicale predominio dell’Arte Povera e del Minimalismo, hanno creato, fin dall’inizio degli anni 70’, un esercito di tardo concettuali, incrementato i pregiudizi e il divario con la pittura, aumentando il distacco di fruizione e di comunicazione  tra arte per addetti ai lavori e il grande pubblico. Gli artisti che Enzo Cannaviello  ha promosso ed incoraggiato si sono distinti anche per una riscoperta e un coinvolgimento con l’interlocutore e con un nuovo collezionista. E’ così uscita allo scoperto una generazione di artisti italiani, pronti alla sfida, che hanno saputo interpretare e scommettere sulla pittura in modo teorico e sperimentando una loro tecnica pittorica personale. Oltre a Pizzi Cannella e Pierluigi Pusole, presenti anche nell’ultima collettiva, ci sono degli artisti giovani italiani, che rientrano nella filosofia dello Studio d’Arte Cannaviello?
I giovani costituiscono da sempre l'anima della mia Galleria. Gli autori che oggi rappresentano in particolar modo la continuità dello Studio d'Arte Cannaviello direi che sono Umberto Chiodi (Bentivoglio – Bo, 1981) ed Ettore Tripodi (Milano, 1985), artisti non ordinari che non possono essere definiti pittori nel senso tradizionale del termine. Ovviamente non posso che pronunciarmi  positivamente circa gli artisti che sto esponendo in questo momento, il gruppo della “Nuova Pittura Italiana”, anche se mancano i tempi per determinare una loro valenza storica. 

La storia tedesca è indissolubilmente legata alla crudeltà della dittatura e alla mancanza di senso dello sterminio perpetrato da Hitler. Il senso di colpa e il disagio sulla propria identità, è stato in parte metabolizzato e indirizzato nella carica espressiva pittorica degli artisti citati. All’artista italiano manca spesso la componente etica e la forza espressiva, poiché si pone come individuo, al di sopra dei drammi e dal flusso della storia. Come si può trovare un compromesso tra due posizioni così distanti e apparentemente inconciliabili?
Ritengo che gli artisti italiani siano meno impegnati dal punto di vista culturale-ideologico rispetto a quelli tedeschi: infatti, mostrano una diversa maniera espressiva, la quale deriva direttamente da quella tipica eleganza tutta italiana. Per usare una metafora sportiva, l’artista italiano è uno spadaccino che opera con il fioretto, il tedesco invece con la sciabola. Il Nuovo Espressionismo tedesco affonda le radici nella cultura e nella storia del suo Paese al contrario della Transavanguardia italiana, che inventa un nuovo linguaggio pittorico assente prima nel panorama del mondo dell’arte italiana. Comunque il compromesso non c’è e lo dimostra il mercato che ha premiato largamente l’arte tedesca proprio perché, oltre alla sua grande qualità, è  più radicata culturalmente e con una forza enfatica nettamente superiore.

Gli anni '80 hanno rappresentato un cambiamento epocale. E’ l’inizio del Postmoderno, la caduta dell’ideologia marxista, dell’edonismo reganiano, e di Papa Wojtyla, il grande comunicatore. Dai cortei, i giovani si spostano in discoteca e al posto di Gina Pane che si taglia le vene, troviamo due dandy come Gilbert e George. Gli artisti tedeschi, promossi da Cannaviello, pur rientrando in questa onda di radicale mutamento, conservano una loro posizione di durezza e di complessità psicologica rispetto al degrado culturale che sopraggiungerà. Come si conciliano nel gruppo, questa libertà ritrovata e l’elogio dell’effimero?
Io non parlerei di un’arte effimera per gli anni '80 in quanto le ricerche che gli artisti tedeschi elaborano sono quasi sempre impegnate o da un punto di vista politico (Jorg Immendorf) o sociale, (Rainer Fetting, Karl Horst Hoedicke, Helmut Middendorf), se non entrambe. Il tema della libertà comunque è pur sempre presente in quanto all’artista non viene dato nessun veto, egli rimane libero di trattare tutte le tematiche più disparate e quotidiane. Una sorta di Narrative Art che negli anni '70 si esprimeva attraverso il mezzo fotografico e la scrittura, mentre negli anni '80 attraverso forti pennellate di colore.
     
Rispetto al 1968, l’anno dell’esordio di Enzo Cannaviello nel mondo dell’arte, la situazione è radicalmente mutata. L’era dei grandi galleristi che s’impegnavano anche a livello teorico e di ricerca, come Peppino Palazzoli, Leo Castelli, Arturo Schwarz, Lucio Amelio, è tramontata, lasciando il posto a un proliferare di fiere commerciali e curatori, spesso cinici ed avidi, senza cultura ed intuizione. Enzo Cannaviello è un outsider dentro al sistema?
Assolutamente sì, sono un outsider e attualmente non partecipo a nessuna Fiera, le quali ritengo siano, insieme alle Case d’Asta, le responsabili dell’attuale situazione culturale che - come ha detto qualcuno - incentiva a “comperare ascoltando e non vedendo”. Oggi contano soltanto le quotazioni e le loro oscillazioni, mentre la mia professione non è mai stata totalmente mercantile. Ogni decennio è stato scandito da una ricerca artistica e da una vera e propria operazione di “scouting”. Tutti oggi mi conoscono per l’arte degli anni ‘80, ma io ho da sempre dato spazio alle nuove sperimentazioni artistiche. Infatti gli artisti che proponevo negli anni ‘80, a quei tempi, erano dei giovani e solo oggi sono autori di livello internazionale.
Negli anni ’70 mi sono occupato del Concettuale, della Narrative Art, della Body Art etc, mentre negli anni ‘80 è nata la mia grande passione per gli artisti del Neoespressionismo. 
Negli Anni ’90 ho dato spazio alla cosiddetta pittura Neoiconica (Daniele Galliano, Davide La Rocca, Cristiano Pintaldi, Luigi Presicce, Federico Pietrella, Pierluigi Pusole, Nicky Hoberman, Ryan Mendoza, Bas Meerman, Francesco De Grandi) cioè quella pittura che si ispira a un’immagine filmica o fotografica reinterpretandola; negli Anni 2000, è stata la volta degli artisti che io ho chiamato “di stile libero” (Maja Vukoje, Frank Bauer, Paul Horn, Hannah Dougherty, Seo, Sophia Schama, Jasper De Beijer, Norbert Bisky, Till Freiwald, Simon Keenleyside, Karin Andersen).
Venendo in tempi più recenti, ho scoperto gli artisti degli Anni ‘10 quali Umberto Chiodi, Tamara Ferioli, Tommaso Gorla, Silvia Idili, Tiziano Martini, Marta Sesana, Ettore Tripodi; attualmente sto collaborando con un gruppo di artisti che si chiama “Nuova Pittura Italiana”, un gruppo prevalentemente milanese,i cui componenti sono accomunati dal fatto generazionale, dall’utilizzo del mezzo pittorico e dal rinnovamento del suo linguaggio.
  
Il pittore scozzese Peter Doig, ma anche Marlene Dumas, Neo Rauch, Cecily Brown, Elisabeth Peyton, è al momento l’artista vivente più quotato. Il suo lavoro personalissimo, sfugge a ogni definizione o categoria, non si può definire surreale, anche se sono presenti visioni oniriche ma con particolari di cocente realismo. Spazi vuoti innevati si contrappongono a misteriose figure alate e atmosfere tempestate di pennellate espressioniste. E’ la prova vivente di come si può ancora fare pittura, con libere citazioni ma con una forte espressione individuale. Mancano i pittori italiani alla ribalta a livello internazionale: il provincialismo e i condizionamenti culturali e un sistema burocratico poco flessibile per chi vuole investire in arte, oltre che la mancanza di Musei, sono le cause principali di questa arretratezza?
Secondo me l’Italia sta attraversando un fase culturale depressiva ed è quindi ovvio che l’arte non possa che risentirne. Se a questo fatto, si aggiunge anche la carenza di strutture adeguate per l’arte contemporanea e l'assenza di Gallerie italiane competitive a livello internazionale, il quadro è completo. L’Arte d’altronde nasce dove c ‘è una committenza, almeno storicamente è stato sempre così. Oggi il fatto che non ci sia  un mecenatismo forte potrebbe essere imputato all’eccessivo carico fiscale sulle opere d’arte. Ovviamente però ci sono anche tante altre ragioni, ma il discorso si farebbe troppo complesso. 

Umberto Chiodi, CROSSAGE  XXXIV, 2014,
cm 70x50, tecnica mista su carta cotone


Enzo Cannaviello apre alcuni anni fa anche uno spazio espositivo a Cremona, la Galleria Interno18, tra entusiasmo e polemiche. Come sono stati accolti gli stessi artisti, che a Milano hanno avuto un grande successo? Umanamente ed intellettualmente la provincia può riservare più entusiasmo e risorse o di fondo permane una chiusura e uno scetticismo al nuovo e alla sperimentazione?
Vorrei precisare che la “Rete” di Gallerie consociate che ho creato si è estesa fino all'estero (M&K Galerie a Linz, Austria) e addirittura nella mia città (Twenty14). Cremona è un caso particolare dal punto di vista numerico della popolazione, ma, allo stesso tempo, è la dimostrazione che dove arriva l’informazione arriva anche il mercato, anche se faticosamente. La sperimentazione artistica, pur contestata, incuriosisce, e tutti, addetti ai lavori e non, partecipano a questa discussione. 

Una certa critica, aveva giudicato “colpevole” la pittura di un' inadeguatezza a rappresentare il proprio tempo, considerando il “quadro” inattuale, fino ad arrivare alla sua quasi totale esclusione dalle grandi manifestazioni d’arte internazionale come Documenta a Kassel o le varie Biennali e mostre pubbliche sparse in tutto il mondo. La Transavanguardia e il Neoespressionismo tedesco, che hanno riproposto il “ritorno alla pittura” sono state il colpo di coda decisivo. Rimangono degli strascichi di quel clima di terrorismo culturale in Italia?
Come per le sette note nella musica, la pittura non finisce mai. Si rinnova e ci stupisce continuamente. È un mezzo di espressione eterno che “convive” con le ultime tendenze dell’arte contemporanea, soprattutto al di fuori dell’Italia, dove invece è molto discriminata. Per discriminazione intendo quella che perpetua la critica d’arte la quale pensa che un mezzo d’espressione antico non possa generare un’opera d’arte contemporanea. Errore gravissimo!! Basti pensare che l'avvento del cinema non ha sostituito il teatro, così come i maggiori compositori di musica contemporanea a tutt'oggi si servono ancora del piano o di altri strumenti antichissimi e anche gli scrittori ovviamente non hanno abbandonato le regole della grammatica  e dell’ortografia e della sintassi. In poche parole, il mezzo di espressione non determina il linguaggio, resta solo all'artista operare un rinnovamento all'interno del linguaggio stesso. Se, come ultima considerazione, il mercato dell’arte conta qualcosa nell'affermazione professionale, basta consultare le classifiche dei primi cento artisti al mondo per scoprire che, gli autori più quotati sono ancora legati al “medium” pittorico.  
Comunque non è negabile che, ancora  oggi, il panorama artistico italiano non risenta di quegli strascichi di terrorismo culturale che avevano portato a guardare alla pittura in maniera pregiudiziale e accusatoria. Come per il ’68, che fu superato con facilità dagli altri Paesi, ma la cui mentalità ancora persiste in Italia, così nella nostra Nazione continua ancora ad esserci un marcato pregiudizio culturale rispetto all'arte realizzata con mezzi tradizionali. 

Nel libro di teoria della pittura contemporanea: “La Pittura Il corpo infinito”, di Francesco Correggia e Pietro Finelli, viene sottolineata una posizione politica e insieme teorica intorno al modo di fare arte oggi. “Non si tratta di sapere dove stiamo andando, ma che cosa bisogna fare per ricominciare a creare cultura”. Il Gallerista vuole e ha ancora un potere di traghettare artisti e fruitori in questa direzione?
Penso che la funzione del Gallerista sia fondamentale in questo traghettamento perché è l’anello di congiunzione fra l’artista, il collezionista e il pubblico. Il suo compito è quello di intuire l’Arte dei propri tempi e di diffonderla, così come quella del critico è di spiegarla, anche se non sempre ci riesce… I Galleristi spesso devono combattere per valorizzare artisti in cui credono, proprio perché la critica e il pubblico non sempre accettano le nuove sperimentazioni. Se un artista vale, allora è necessario affrontare dei sacrifici.

Un altro limite della cultura italiana, è l’incapacità di considerare la pittura un corpo e un’entità, dove il contemporaneo e l’antico possano convivere ed esprimersi in un tempo presente, creando spazio e conoscenza. Le istituzioni tendono sempre a separare e a stento valorizzano e difendono il patrimonio artistico sul nostro territorio. Lo studio della Storia dell’Arte potrebbe essere il primo passo?
L'Italia è un museo a cielo aperto e spesso ci si concentra solo sul passato tralasciando l'importanza del presente. Ma il problema in Italia è che nemmeno il passato è valorizzato in maniera adeguata. Il nostro Paese, nel quale sono presenti così tanti beni culturali pubblici, per non parlare di quelli privati, potrebbe giovarsene come importante risorsa, turistica oltre che economica, ma la macchina burocratica italiana ancora ad oggi non sembra funzionare e in più non c’è una vera volontà politica per cambiare le cose. Lo studio della storia dell’arte, in particolare, è fra i più arretrati al mondo, infatti si ha difficoltà a comprendere l’arte contemporanea proprio perché gli stessi insegnanti  mancano di una formazione, e di un aggiornamento adeguato, e quindi hanno difficoltà a capire e diffondere il loro sapere con i loro allievi. Questa è una grave carenza culturale che non so dire se e quando terminerà, perché bisognerebbe apportare delle riforme strutturali impegnative che in un Paese restio ai cambiamenti è difficile veder approvate. Sebbene il futuro sia incerto, confido nella volontà delle nuove generazioni di impegnarsi, giorno dopo giorno, per ottenere una formazione sempre più competitiva a livello nazionale e internazionale. Basti pensare a quante figure geniali, in arte ma non solo, l'Italia “partorisce” annualmente, purtroppo però le prospettive nel nostro Paese non sono allettanti.

Cosa consiglia Enzo Cannaviello,  a un giovane che vuole intraprendere nonostante tutto,  l’avventura di aprire una Galleria? Andare all’estero, ritornare negli studi degli artisti, coltivare e sostenere il giovane collezionismo?
Ai giovani che vogliono intraprendere la mia professione, io ho consigliato di associarsi a una grande Galleria, perché oggi il fattore economico, purtroppo, prevale su quello culturale. Una giovane Galleria non ha alcuna speranza di trovare artisti importanti perché appunto manca un forte apporto economico che la sostenga. La mia professione infatti ha una componente estranea alla propria volontà, cultura, intuizione etc. ed è quella economica che è determinante, a differenza dell'attività del critico o dell’artista che dipende soltanto dalla sua capacità, talento e cultura. 


Progetti e mostre future?
È difficile elencarle tutte, ma una cosa è certa: continuerò a rilevare le novità che l’Arte ci offre con i mezzi tradizionali, perché, come ho detto prima, il medium non determina la contemporaneità. Appunto per questo non ho avuto bisogno di supporti tecnici innovativi in quanto l’Arte si rinnova al suo interno con i suoi stessi linguaggi. Ovviamente non escludo anche l'apprezzamento di altri mezzi di espressione, a patto che siano duraturi e abbiamo una forte valenza estetica, della quale non possiamo fare a meno per la nostra attività nostra passione.

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