venerdì 11 gennaio 2013

StorieReali presenta: INTERVISTA A GUSTAVO GANDINI

UN PARADISO DA SALVARE, LA FORESTA DEL GABON

 

Gustavo Gandini in foresta con l’equipe della FIGET
per aprire un nuovo percorso turistico (foto di Alessandro Belgiojoso) 

Quando qualcuno racconta di cascate incontaminate nel cuore di una foresta tropicale, abitata solo da pigmei, elefanti e scimpanzé, con profumi mai percepiti, rumori e silenzi inediti, s’immagina un’avventura di Salgari o un film di Tarzan, invece si tratta di un posto reale: La foresta del Gabon.

Il Gabon si trova nel cuore dell’Africa, è attraversato dall’Equatore e si affaccia sull’Oceano
Atlantico. Lo abbraccia a est la Repubblica del Congo, la sua capitale è Libreville. Grande poco
meno dell’Italia, ha solo un milione e mezzo di abitanti, è coperto per gran parte da foreste equatoriali ed è ricco di petrolio, manganese e ferro.
Per proteggere questo paradiso di foreste si sono affrontate, e ancora oggi si devono superare, molte sfide, gli interessi delle grandi compagnie europee e asiatiche del taglio del legname, un progetto cino-gabonese per la costruzione di una grande diga sulle cascate Kongou, le più belle dell’africa centrale, il crescente mercato della carne di animali selvatici, i cercatori d’oro.
Gustavo Gandini, professore di genetica presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Milano,
da tempo lavora per la salvaguardia e la valorizzazione della Foresta del Gabon, in particolare quella dell’Ivindo, un progetto avviato molti anni fa con l’amico Giuseppe Vassallo, purtroppo prematuramente scomparso nel 2000. Nel 2002, è riuscito, come Fondation Internationale Gabon Ecotourisme - FIGET, ad ottenere la concessione e la gestione di un primo nucleo di 120 kilometri quadrati di foresta, attorno alle cascate Kongou, sottraendoli al sicuro disboscamento legato al commercio del legname. L’anno successivo, la creazione da parte del Presidente gabonese del Parco dell’Ivindo, la costituzione della Fondazione italiana Trust the Forest per raccogliere, con l’aiuto di diverse aziende e di privati cittadini, le risorse per rendere l’area di foresta salvata dal taglio pienamente protetta e fonte di reddito per i villaggi limitrofi, attraverso l’ecoturismo.
Gustavo Gandini è impegnato su più fronti nella salvaguardia della natura, è stato vicepresidente del WWF Italia, si occupa di protezione di primati con l’International Primate Protection League - IPPL, ma la salvaguardia della foresta de Gabon rimane un obiettivo prioritario, benché portato avanti al di fuori dell’impegno universitario.






Veduta aerea delle cascate Kongou, nel cuore del Parco dell’Ivindo, 
dove la FIGET gestisce un campo turistico 

Abbiamo letto pochi anni fa sul Corriere della Sera di una strada che si faceva largo fra gli alberi, tagliava la foresta dell’Ivindo, per puntare alle più belle cascate dell'Africa centrale, aperta dai cinesi della Cmec (China National Machinary Equipment Import Export Corporation). Obiettivo, la costruzione di una enorme diga e centrale idroelettrica con un impatto ambientale devastante. Come si è evoluto il progetto?
Le cascate e la foresta sono statedistrutte?

La battaglia per cancellare il progetto di costruzione della diga alle cascate Kongou, nel cuore della foresta dell’Ivindo, progetto del tutto insulso perché vi sono altri luoghi in Gabon dove costruire centrali idroelettriche senza distruggere ambienti incontaminati, è durata tre anni ed è stata vinta. La pressione internazionale che siamo riusciti a creare, l’impegno di alcune ONG gabonesi, in primis della ONG Brainforest, ha avuto successo. Il presidente della nostra fondazione gabonese FIGET, Marc Ona Essangui, è stato in prigione per difendere la foresta e le cascate, e una volta uscito ha ricevuto nel 2009 a San Francisco il prestigioso Goldman prize, una specie di premio Nobel sulla protezione dell’ambiente (goldmanprize.org/2009/africa). Il presidente Ali Bongo Ondimba ha recentemente dichiarato che il progetto della diga è definitivamente annullato, ma non possiamo abbassare la guardia. 


Tutti i governi ora si stanno impegnando per la salvaguardia ambientale e per fonti di energie alternative da adottare nel loro paese. Gli Stati Uniti, potranno tra due anni essere indipendenti dal petrolio dei paesi arabi. Questo orientamento non è solo ambientale e politico ma si rivela anche vantaggioso economicamente. Per l’Africa, pur considerando le sostanziali differenze, non si può procedere sulla stessa linea?

Sicuramente anche i Paesi dell’Africa devono accelerare il percorso verso le fonti energetiche alternative, e noi dobbiamo mettere loro a disposizione la tecnologia necessaria per compiere questo percorso. Tuttavia la corsa alle risorse, energetiche e non, in questi Paesi, spesso legata a drammatiche distruzioni dell’ambiente, non è per soddisfare la richiesta dei loro abitanti, ma la nostra. La responsabilità di eventuali ricadute negative è quindi in gran parte nostra, legata ai nostri stili di vita e consumi, spesso irrispettosi dell’ambiente.


Ci sono ovunque esempi di città ecosostenibili, Vitoria, in Spagna, decretata “la città più verde d’Europa” del 2012 o Vancouver, metropoli a misura d’uomo, esperimento riuscito di ricerca ed applicazione di tecnologia e benessere. Di fronte alla città, si allunga Vancouver Island, con plurisecolari foreste come Cathedral Grove, da cui avvistare orsi, balene, orche. Queste nuove realtà, t’ incoraggiano per una nuova visione universale, nei confronti della tutela della Foresta del Gabon?

La conservazione della biodiversità, lo sviluppo sostenibile, la protezione dell’ambiente, deve necessariamente essere un programma diffuso, non limitato alle aree naturali protette. Quindi queste nuove realtà sono da accogliersi con lode. Tuttavia è indispensabile preservare una buona parte delle ultime aree naturali rimaste su questo nostro pianeta, come le ultime foreste dell’Africa centrale, in Gabon, nelle Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo. Il tasso di distruzione ambientale in corso è, nel caso delle foreste, molto elevato: oggi sopravvive solo l’8% delle foreste vergini presenti 50 anni fa nel mondo e la distruzione continua ad un ritmo stimato tra i 10 e i 15 milioni di ettari all’anno, un campo da calcio ogni due secondi.


La rete è stata fondamentale per informare, sostenere e cambiare la mentalità generale e non solo dei giovani. Forse una delle poche possibilità di “rigenerazione urbana” e unica fuga dallo strapotere delle multinazionali nelle società dall’economia precaria. Ti sei servito per sostenere la Foresta del Gabon dell’arma del web? Ad esempio i blog sempre più numerosi?

La rete è uno strumento potente per le battaglie ambientali, ma in alcuni casi è ancora limitato. E’ necessario avere non solo gli strumenti del web, ma anche una rete di anime e di interessi fortemente partecipi sull’obiettivo. Per bloccare l’azienda cinese CEMEC che voleva costruire la diga nella foresta dell’Ivindo, la rete non sarebbe mai stata capace di agire con successo perché la società cinese non è ancora reattiva in questa direzione. Sarebbe stata potente se la CEMEC fosse stata un’azienda tedesca o olandese. E se fosse stata italiana? Un altro esempio, quando la società cinese sarà sensibile ai problemi ambientali, il contrabbando di avorio finirà e gli elefanti saranno salvi.


A chi oggi si vuole impegnare realmente nel sostegno dell’ambiente, anche se non è un politico o uno scienziato, cosa consiglieresti come formazione ed esperienza? Diventare attivista o biologo? Tu hai scelto Veterinaria, come laurea è ancora attuale in questo contesto più globale?

Possiamo, dovremmo, essere attivisti nella protezione dell’ambiente qualsiasi sia la nostra professione, se siamo avvocati, politici, biologi, economisti …. . La conservazione della natura è un problema difficile, complesso, che ha bisogno di molte competenze e di molti apporti. Un aspetto di fascino del lavoro nel campo della conservazione, a mio parere, è quello di unire un certo approfondimento scientifico con la necessaria azione, dettata dall’urgenza del problema. Quale sia la laurea migliore per lavorare sul campo negli aspetto biologici? forse biologia o scienze naturali.
In alcuni Paesi vi sono corsi specifici in biologia della conservazione.


Molti privati, associazioni e anche imprese hanno sostenuto economicamente il progetto Foresta del Gabon. Bisognerebbe fare in modo, come negli Stati Uniti che i fondi devoluti per l’ambiente o per il sociale, fossero un modo per “scaricare le tasse”, per incentivare altre aziende a muoversi in questa direzione, proprio a causa della crisi. Si riesce a sensibilizzare gli imprenditori italiani e stranieri?

La foresta dell’Ivindo è stata salvata grazie al contributo di numerosi privati, di amministrazioni pubbliche e aziende, tra le altre Esselunga s.p.a, Gruppo Cordenons s.p.a., SDA Bocconi, Bianimale Foundation, Kel12 Dune, Hewlett-Packard Italia, Fondazione Cassa di Risparmio Trento e Rovereto, Comune di San Giorgio di Piano, Comune di Argelato, Mercatone Uno, Immobiliare Kamarpathos. Questi donatori sono fieri e felici di quanto hanno fatto. Colgo l’occasione per dire che abbiamo bisogno ancora di aiuto, perché la battaglia per salvare per sempre la foresta dell’Ivindo non è ancora terminata. Concordo sul fatto che il sistema fiscale italiano non favorisce reali agevolazioni a coloro, privati cittadini e aziende, che vogliono dare un contributo alle iniziative sociali, ambientali e culturali. Ma è un problema non solo fiscale ma anche culturale. In alcuni Paesi i grossi patrimoni sono anche grandi donatori, in Italia questo è molto più raro, vi è poca sensibilità per restituire alla società una parte di quanto ricevuto dalla società.


Lo sfruttamento della foresta con l’estrazione del legname crea posti di lavoro. E’ possibile che la foresta protetta generi ugualmente ricchezza per le popolazioni locali?

Il taglio della foresta in Gabon crea occupazione temporanea nei luoghi di taglio e d trasformazione primaria dei tronchi. I grossi guadagni sono però per il governo centrale e per le compagnie straniere, il tutto spesso immerso in sistemi di corruzione diffusa. Terminato il taglio e prima del successivo, che avviene in media dopo 25 anni, le popolazioni locali non hanno più alcun beneficio e in molti casi devono convivere con una foresta degradata e povera di animali.
Lo strumento principale per rendere la protezione della foresta economicamente sostenibile è quello del turismo. Un turismo che deve essere attento ai delicati equilibri ambientali e sociali e portare ricchezza alle popolazioni locali. Nel 2005 le fondazioni FIGET e Trust the Forest, in collaborazione con il villaggio di Loaloa, hanno costruito un campo turistico alle cascate Kongou.
Il campo si raggiunge con 4 ore di piroga dalla cittadina di Makokou, e da lì i turisti possono vistare le cascate (un fronte di quasi tre km) e la foresta vergine (per informazioni contattare Mr. Joseph Okouyi Okouyi: okouyi_joseph@yahoo.fr). La presenza dei turisti spinge il Governo a mantenere il parco, scoraggia il bracconaggio, crea lavoro e ricchezza per i villaggi sui bordi della foresta (nella foresta non vi sono insediamenti umani). Stiamo aprendo una nuovo circuito per turisti desiderosi di una esperienza piena di foresta equatoriale, che attraverserà il Parco dell’Ivindo da nord a sud, a piedi e in piroga, e che richiederà circa 7 giorni. La prima parte l’abbiamo disegnata lo scorso anno con alcuni amici, tra i quali i fotografi Alessandro Belgiojoso e Albertina d’Urso.



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Il campo turistico FIGET alle cascate Kongou 
si raggiunge da Makokou con 4 ore di piroga sul fiume Ivindo

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