venerdì 27 dicembre 2013

StorieReali presenta: INTERVISTA A MARGHERITA PALLI

La sensazione del meraviglioso


Margherita Palli all'Opera Garnier Parigi, 2009
foto di Ugo Rota

Che cosa accomuna, oltre il diploma all’Accademia di Brera, Margherita Palli, una scenografa visionaria, con alle spalle un’immensa produzione e collaborazioni teatrali in Italia e all’estero e Alik Cavaliere, uno scultore, che ha sperimentato nuovi scenari e lo sconfinamento fisico e mentale dell’opera?
Prima che un sodalizio creativo ed intellettuale, la loro è stata una grande amicizia, entrambi concordi sul presupposto fondamentale, che il processo creativo e l’invenzione scenografica, non possono essere limitati e strutturati, in schemi fissi e ripetitivi.

“L’interlocutore non deve essere posto di fronte all’assoluto, al chiuso e al perfetto” ripeteva lui, “è come saper condurre un veliero lungo una direzione o una rotta immaginata” aggiungeva lei. Visualizzare e dare vita alle storie, che sia in un museo o in un teatro, significa creare nuovi palcoscenici, dove natura e artificio, passato e futuro, quotidiano e surreale si confondono ed si esaltano. “La Scultura e i luoghi” un’infinita installazione di Alik Cavaliere, ricorda la mostra personale di Margherita Palli all’Istituto Svizzero di Roma, con sede a Milano: la stessa totale autonomia e la medesima libertà creativa nell’assemblare materiali, oggetti ed icone, che sembrano rinascere in una dimensione inedita ed inaspettata. Forzieri, giacigli, manichini e frammenti di materiali, sono solo alcuni degli elementi mobili delle storie allestite dello scultore, come la bambola, il cane, la marionetta e i modellini di Santi e Dei mitologici, testimoniano il lungo percorso professionale di Margherita Palli. La scenografa, non è estranea alle collaborazioni e alle condivisioni professionali. La prima, come assistente all’architetto Gae Aulenti, con la quale lavora al progetto della Gare d’Orsay e successivamente il sodalizio con Luca Ronconi, che dura dal 1984. Anche in seguito ai numerosi premi e riconoscimenti ricevuti, Margherita Palli, ha sempre ribadito che il suo, non è un lavoro solitario, la complicità e la collaborazione con il regista sono fondamentali, ma anche con i direttori artistici, i costumisti, i tecnici del palcoscenico e delle luci, i costruttori delle scene. Intuizione psicologica, condivisione del progetto collettivo e non ultimo aspetto: i nuovi linguaggi adattabili e compatibili con i processi creativi . Margherita Palli trasforma ed usa gli stessi attori e i loro corpi, come elementi e cardini della scenografia stessa. La critica d’arte, Angela Vettese, scrive di una produzione, che unifica tutte le pratiche, nel “passaggio dal corpo chiuso al corpo diffuso”. Questa acquisita libertà d’espressione, che pervade tutte le arti, dalla danza alla musica, fino al teatro, irrompe nella produzione artistica negli anni 70’, ma nei decenni successivi rischia di essere censurata e fraintesa. Margherita Palli, sfugge ad ogni definizione e lavorando con la luce, sembra ricordare che la scenografia è un’illusione giocosa, effimera ma capace d’inventare ogni volta nuovi mondi, per un pubblico sempre più vasto. Emblematico l’allestimento con le parole giganti al neon, per “Il Sogno di una notte di mezza estate” di Ronconi, che sarebbe piaciuto però, anche al minimalista fluorescente Dan Flavin e che avrebbe meravigliato Wittgstein.


La maschera di Zurir
Tutuola, Teatro Cucinelli Solomeo, regia Luca Ronconi, 2008
foto di Luigi La Selva

Oggi per uno scenografo, le fonti d’ispirazione e gli stimoli visivi e psicologici sono moltissimi. Partendo dal presupposto che ognuno ha un proprio archivio segreto e condiviso, come si riesce a districarsi nel groviglio intricato della globalizzazione?
Chi lavora oggi in ambito creativo, non può evitare le nuove tecnologie, nella fase progettuale e come fonte d’informazione. Il disegno, rimane il mio strumento espressivo irrinunciabile, ma per elaborare le idee iniziali, utilizzo il computer, dal quale attingo tutte le immagini che possono essermi utili. Contemporaneamente, posso consultare la mia biblioteca personale e l’archivio della mia memoria e delle mie esperienze, umane ed intellettuali. Cinema, arte contemporanea, storia, ad esempio, contribuiscono continuamente ad arricchire e suggerire nuove strade, da percorrere e sperimentare.

Le esperienze del Living Theatre, dell’attività coreografica e di danza di Meredith Monk e Merce Cunningham, lo stesso Carmelo Bene, vengono oggi riletti in un’ottica di costruzione del dialogo con il corpo, con la propria individualità e con lo spettatore. Queste esperienze hanno inciso sul tuo modo di lavorare e fare scenografia?
Durante gli anni 70’, si sono magicamente riunite tutte le arti. Un patrimonio trasmesso, da recuperare e salvaguardare. Di quel periodo, ci sono protagonisti nella danza e nel teatro sperimentale, ormai storicizzati, che rimangono fondamentali per chi , come scenografo, lavora con un’urgenza di perenne cambiamento. L’esperienza sul campo e la consapevolezza professionale, consentono di selezionare, e non scartare, il materiale da interpretare, per elaborare di volta in volta, idee nuove e soluzioni flessibili.


Nell’epoca del digitale, pur consigliando anche ai tuoi studenti di approfondire e avvalersi delle metodologie più avanzate, esalti e dai un grande valore al disegno. E’ attraverso il segno manuale che si focalizzano meglio le idee nella fase iniziale del progetto?
Alla “NABA”, la scuola dove insegno, incoraggio e coltivo la pratica del disegno manuale, inteso come linguaggio universale, parallelamente ai nuovi strumenti digitali. Mentalmente e a livello creativo, essi mettono in moto dinamiche e processi diversi ma che possono convivere perfettamente, ottenendo una visione completa. In Germania e in Giappone, dove ho lavorato, questo modo di progettare ed elaborare è già sperimentato ed attivo.

Ti sei sempre dichiarata ottimista per il futuro del Teatro in Italia, nonostante la chiusura di molte strutture e la profonda crisi, accentuata dal degrado culturale. Cosa prevedi per chi vuole intraprendere questa professione e per le compagnie teatrali più sperimentali?
E’ proprio nel periodo della crisi, che nonostante tutto, nuovi fermenti ed iniziative si possono incoraggiare ed intraprendere. E’ anche questione di fortuna, il nostro è un lavoro collettivo e se il regista riesce ad innescare naturalmente le sinergie necessarie, non vedo grandi impedimenti e limiti, a parte il fattore economico.

l'angeloluna
Giochi Teatrali/Theatre Toys, istituto Svizzero di Milano, 2012
foto di Zuzanne Niespor

Hai lavorato a Salisburgo, Roma, Venezia, Siracusa, Tokio. E’ tutto più professionale e facile all’estero o in realtà dipende sempre dall’incontro delle singole personalità, nel tuo caso regista e scenografa?
Non è mai solo un rapporto esclusivo tra regista e scenografo. A Tokio, ad esempio, con Martone, in occasione dell’Otello, lui è stato il catalizzatore necessario per riunificare e non disperdere tutti gli operatori di razze diverse e provenienti da culture non sempre omologate. Puoi essere anche in un contesto internazionale e disporre di budget altissimo ma se manca un’unità d’intenti e l’entusiasmo iniziale, un progetto anche valido, rischia di naufragare.

Sasha Waltz, si è affermata in questi ultimi anni come massima esponente del teatro danza, raccogliendo l’eredità di Pina Bausch, ma al contempo anche come regista-coreografa di teatro in musica. Un esempio in questo senso, l’allestimento di “Dido and Aeneas” di Henry Purcell, da lei curato nel 2005. Il sipario, si alzava su una grande piscina in cui s’immergevano i ballerini della sua compagnia: “Sasha Walts and guests” La commistione dei generi e la mescolanza dei linguaggi, è una teoria e una pratica incoraggiata, nell’insegnamento della scenografia oggi?
Una volta, l’insegnamento era rigidamente tradizionale. Pratiche e teorie inerenti al teatro nobile, legate ad un repertorio classico, che comprendeva al massimo il balletto. Attualmente è incoraggiata la contaminazione e la mescolanza dei generi e soprattutto il teatro dal vivo. Le Cirque du Soleil, da sempre ha riunito, performance, danza, gioco, narrazione. Chi vuole fare teatro, deve poter avere delle competenze ad ampio raggio, senza preclusioni o pregiudizi, per ampliare le occasioni professionali.

La scenografia e l’opera d’arte hanno finalità intrinseche diverse, ma se pensiamo, per esempio, al collettivo Studio Azzurro e alle loro videoinstallazioni, ci confrontiamo con un'arte interattiva: eventi più che opere, dove l’arte s’incrocia con il teatro. Per chi vuole diventare scenografo, è quasi obbligatorio, conoscere la storia dell’arte e la sua evoluzione. All’estero nei centri sociali, la sperimentazione slitta in diversi ambiti, senza limitazioni o pregiudizi. Potrebbe essere un esempio per le nostre Accademie?
Noi insegnanti non abbiamo preclusioni, consapevoli del fatto che le esperienze per confrontarsi sono limitate rispetto all’estero. Un centro sociale in Italia oggi è ancora visto e giudicato in modo riduttivo e circoscritto all’ideologia politica e al sociale, mentre dovrebbe essere inteso come una fucina incredibile di idee e scambio, aperto al pubblico più eterogeneo, come succede ad Amsterdam o a Stoccolma. La responsabilità ricade tutta su di noi e sui centri istituzionalizzati. Spetta a noi rappresentanti di queste scuole, sopperire alle mancanze culturali e alle opportunità di crescita, che puoi trovare in altre capitali europee.

All’inizio essere un assistente scenografo è estenuante ma anche eccitante. Hai sempre creduto che divertirsi sia necessario se non vuoi bloccarti e mantenere un margine di libertà? La gavetta, è ancora una tappa possibile in Italia? Com’è stata la tua esperienza iniziale come assistente?
Sono stata fortunata e nel mio caso specifico, la gavetta in teatro è stata molto breve. Sono però, fermamente convinta dell’importanza di un tirocinio, il più poliedrico e diversificato possibile. E’ anche per questo che, durante il periodo accademico in NABA, incoraggiamo ed organizziamo spettacoli itineranti, collaborazioni aperte e continue, per unificare l’universo dell’insegnamento con quello del mondo esterno professionale. Due pianeti ancora troppo distanti a volte, nel nostro paese. Anche l’aspetto psicologico, continuo a ribadire, è determinante, bisogna sapersi divertire e affrontare ogni impegno con la leggerezza che il teatro stesso, in continua evoluzione, richiede.

La video artista Pippilotti Rist, ha una comicità amara. In alcune sue opere, balla velocemente, distorcendo l’immagine con linee e interferenze: è un rifiuto dell’icona femminile presentata dai video musicali, codificata come oggetto sessuale. Nel tuo processo creativo hai affrontato le dinamiche inerenti il ruolo della donna, dal Femminismo degli anni 70’, alla mercificazione attuale?
Le conquiste delle pari opportunità e salvaguardia della dignità femminile, ottenute dalle lotte Femministe, si danno oggi per scontate. Gli equivoci sotterranei e un maschilismo latente sono sempre in agguato. Per fortuna nel nostro ambiente, i ruoli, come quello del macchinista, del realizzatore o del tecnico luci, sono affidati, attualmente, anche alle donne, una volta a loro era destinato un futuro da sarta o da aiuto costumista.

Negli ultimi anni in Italia, per sopperire al problema dei tagli alla cultura, si nota una tendenza a far lavorare maestranze sottopagate e stagisti non retribuiti e a non salvaguardare un nostro patrimonio storico e professionale interno, a discapito della qualità. Cosa pensi al riguardo?Nessuno può permettersi di sottovalutare il fattore economico globalizzato o il peso dei costi per la produzione, ma non bisogna disperdere e lasciare andare alla deriva, un patrimonio storico e di qualità, inerente all’alto artigianato e all’esperienza e ricchezza di contenuti della tradizione italiana, senza i quali, il livello del prodotto finale è destinato alla mediocrità e all’omologazione artificiale. Questo vale a Venezia, come a Shanghai.

Segreti e consigli per chi vuole diventare uno scenografo premiato e ricercato come sei tu? Flessibilità e curiosità?
Una visione psicologica flessibile e la capacità d’adattamento sono imprescindibili. Non si tratta del lavoro dell’artista, che può permettersi l’isolamento e il distacco creativo, il nostro è un lavoro basato sulla relazione con gli altri, ed è proprio questa opportunità coinvolgente e in divenire, che ogni volta, ricrea la sensazione del meraviglioso.

Abbazia di Montecassino dopo il bombardamento del 1944
Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini 
Miguel Manara, regia Franco Branciaroli, 1989
foto di GM Bandera









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