mercoledì 28 novembre 2012

Il Grande Cinema - LA SPOSA PROMESSA, ovvero....

C’è mattone e mattone.

Eccomi di nuovo qui a recensire un film. Ho scelto La Sposa Promessa, e se proprio ci tenete vi dico che ha ben DUE registi i cui nomi sono Rama Burshtein e Yigal Bursztyn.
Mi è piaciuto. A parte il fatto che dura “solo” 90 minuti, quindi un bel 40% meno dell’orrida Anatolia, beh, davvero, non c’è paragone.
Preciso subito che trattasi di film.....
.....oltremodo lento. Ossia, sarebbe troppo facile, dopo aver stroncato l’Anatolia, magnificare 007 Skyfall (che peraltro non ho visto né ritengo che vedrò). Io invece scelgo appositamente un film non propriamente leggero, perché voglio esprimere, appunto, il concetto che c’è mattone e mattone.

Comunque.
La storia si svolge a Tel Aviv, tempo presente, ambiente ebrei ultraortodossi; avete presente? Quelli tutti vestiti di nero, col cappello e i cernecchi (ho studiato, quegli improbabili boccoli lunghi si chiamano così), che non hanno altra occupazione se non lo studio della Torah (i maschi) e la cura della casa e dei figli (le femmine).
Già quest’ambientazione – resa in modo davvero eccellente – diciamo che non aiuta propriamente la leggerezza. E secondo me quella era un po’ l’idea: trasmettere allo spettatore un senso di cupezza, di oppressione. Esci dal cinema che non vedi l’ora di prendere una boccata d’aria (e pazienza se l’aria è quella di piazza XXV Aprile).
Senza raccontarvi la storia – che peraltro non è il clou del film, ossia si capisce abbastanza subito, e comunque non è certo un giallo – vi dico perché mi è piaciuto:
1)    I personaggi: ben scelti, ben disegnati, ben recitati.
2)    L’ambientazione: le case, i vestiti, i riti, le feste, tutto è reso in modo perfetto – o meglio, così credo io, ma forse bisognerebbe chiedere a uno di loro… per quanto, a ben pensarci, dubito che vadano al cinema.
3)    Il modo in cui è girato: ci sono diverse scene in cui il personaggio in primo piano è meno rilevante, ed è infatti fuori fuoco, e invece quello su cui in quel momento focalizzi l’attenzione sta dietro, a tratti nascosto da quello davanti. Se mi volessi dare arie da Maurizio Porro de noantri, potrei azzardare che è una metafora di una cultura in cui si dà importanza capitale a dei dettagli banali, rischiando di perdere di vista l’essenziale. MA NON LO FACCIO (Ops, forse l’ho già fatto).
4)    La colonna sonora: bellissima e coinvolgente. Da riascoltare.
5)    Il senso di imprecisata ANSIA che ti prende fin dalla prima scena.
La cosa particolare è che il tema del film – non credo di svelare nulla, giacché si intuisce già dal titolo – sono i matrimoni combinati tra le famiglie chassidiche (questa non è mia, l’ho letta su Repubblica, confesso). Se vi ricordate, sostituendo le famiglie chassidiche con quelle indiane, il tema è lo stesso del bellissimo Monsoon Wedding di parecchi anni fa.
Bene, tanto quello era allegro, colorato, vivo, e uscivi dal cinema pensando a quanto, in fondo, sarebbe stato tutto più semplice se tua madre si fosse presa la briga di trovarti un marito/una moglie, questo ti fa uscire dal cinema benedicendo il destino che ti ha fatto nascere qui e non lì!
E badate bene, non è che i protagonisti non siano attraenti. Tutt’altro: sia lui, sia lei, sono più che accettabilmente carini. Per quanto si può esserlo con quel look che, diciamolo, mi ammazza un po’ l’ormone.
Quindi è tutto un fatto di atmosfera, proprio. E a me questa cosa è piaciuta.
Tra l’altro, ho esordito dicendo che si svolge ai giorni nostri. Proprio oggi, per la precisione. La cosa particolare, però, è che c’è un’unica scena da cui si capisce questo. Tolta quella, il film potrebbe svolgersi in un’epoca più o meno qualunque. E anche questo mi è piaciuto!
Bene, qui scatta il concorso: andate a vedere il film e poi postate sul blog un commento se indovinate la scena!

Alla prossima!

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