sabato 10 novembre 2012

StorieReali presenta: INTERVISTA A LUCA LUCINI

CINEMA D'AUTORE E FILM COMMERCIALE: DUE PERCORSI CONCILIABILI


Dopo gli Oscar a Benigni e Salvatores, il Cinema Italiano non ha goduto di grandi onorificenze e di importanti riconoscimenti nei Festival in Europa e neppure a Los Angeles. La capacità visionaria di Fellini, l’impegno esistenziale di Antonioni, la denuncia morale di Rossellini, la favola neo realista di De Sica e la complessa eleganza di Visconti sono come altri, dei ricordi indelebili 
ma confinati nelle cineteche e nel passato dei cinefili italiani.
Nonostante l’apparente decadenza e vuota ripetizione, c’è una nuova generazione di registi, come Virzì, Comencini e Soldini, in parte già affermata, che non si arrende e continua senza tregua ma senza ansie da protagonista, a portare avanti con tenacia ed impegno, i suoi progetti cinematografici.
Luca Lucini, nato a Milano nel 1967, si è formato sui videoclips, gli spot e i cortometraggi. Dopo il successo del film nel 2004, “Tre metri sopra il cielo”, ci sono stati altri lungometraggi, ultimo “La donna della mia vita” del 2010.
Luca Lucini non nega però, di avere come modelli di equilibrio compositivo e di sintesi narrativa, i grandi registi americani come Billy Wilder e Stanley Kubrick e i loro film: “A qualcuno piace caldo” e “Barry Lindon” per esempio, che sembrano perfettamente conclusi, senza poter aggiungere o togliere nulla. Per ambire al raggiungimento di questi risultati, bisogna coinvolgere tutti coloro che lavorano nella produzione, dalla sala di registrazione, ai costumisti, agli scenografi. Per dirigere questo complesso corale, deve esserci un direttore d’orchestra, che si confronta, ma che lascia un’impronta indelebile della sua personalità in ogni dettaglio è un marchio di riconoscimento all’identità dell’opera. E il mistero del cinema di Lucini continua ad ammaliarci.


Hai sempre sostenuto di essere partito imparando dalla strada e questo rimane fondamentale per trasmettere entusiasmo ai giovani. Fare video clips, in particolare per autori esigenti come Edoardo Bennato, Giorgia, Ligabue e Laura Pausini, è una palestra di esercizio stilistico e sintesi narrativa. Cosa prendi e cosa lasci dai video clips nei tuoi film? Consiglieresti lo stesso percorso oggi, a un giovane come anticamera per il cinema? Tutto viene prodotto e pianificato al computer e forse si abbassano i costi di produzione, ma il risultato non è più asettico e plastificato?
Io ho iniziato con la Filmmaster clip, con Marco Balich.
Sicuramente dai video clips ho imparato molto, avevamo interpreti musicali che spesso erano anche personaggi interessanti. Con una commissione inventavamo delle storie, ma fare giornate e giornate di produzione, gestire il set, capire cosa volevo riprendere e che cosa potevamo girare, è stata per me una palestra molto utile.
Nel cinema l'esperienza fatta con i video musicali mi è servita oltre che per imparare a gestire il set, come dicevo, anche per “creare visioni”: nel video clip molto del contenuto era spesso dato dalla forma, dovevi immaginarti scene appariscenti, piuttosto che curare molto il linguaggio delle inquadrature o della luce.
Questa palestra la consiglierei ai giovani senz’altro, anche se oggi la situazione è completamente diversa: quando ho iniziato io a fare questo lavoro la richiesta dei video clips era enorme anche perché i budget erano più consistenti, c'era l’esplosione delle televisioni musicali in Italia, Videomusic era ormai una realtà consacrata, nascevano MTV e Match Music, era un'esigenza per qualsiasi prodotto discografico avere un video; adesso se lo possono permettere solo i grandi musicisti, quelli che hanno contratti di vendita molto molto grossi.
Ora c’è un sottobosco di sperimentazione di piccoli video girati con macchine fotografiche con effetti digitali, che è un’ esperienza utilissima ed è giusto che ci sia, ma questa semplicità a produrre un immagine, un prodotto video, da una parte è un grosso vantaggio, dall’altro ovviamente limita un po' le professionalità.
Noi i primi video clips li abbiamo girati tutti in pellicola, avevano una serie di sacralità, di cerimonialità, di responsabilità , che non ci sono più. Con un telefonino puoi girare anche un film volendo, è più accessibile da una parte, dall’altra però non bisogna dimenticare che alla fine a fare la differenza sono i contenuti e la professionalità ma anche la passione e la voglia di mettersi insieme.

In Italia, nonostante la nascita di alcuni piccoli Festival di prestigio come quello di Taormina, non esiste una manifestazione come Il “Sundance Festival” in Usa, creato da Robert Redford, capace di veicolare il cinema indipendente, di giovani autori, o che comunque si autofinanzia. Nel nostro paese la situazione è critica per il Cinema: lo Stato è assente e se si tralasciano alcune collaborazioni con le reti televisive e società di produzione particolari, è quasi impossibile trovare per un giovane finanziamenti per il primo film, soprattutto se non è commerciale, nel senso tradizionale del termine. Cosa suggerisci in proposito?
Io tutti i miei sei film li ho girati con la casa di produzione Cattleya, ho massimo rispetto del loro lavoro, ma adesso abbiamo fatto una sospensione del contratto perché io per un periodo non volevo girare film e ora devo decidere cosa voglio fare.
Sì, la situazione del cinema d’autore in Italia è abbastanza drammatica, noi stessi stiamo cercando di produrre o coprodurre dei piccoli film.
Abbiamo avuto delle soddisfazioni all’estero, vincendo il Grand Prix della giuria al festival di Annecy, molto attento al cinema italiano, con “Tra cinque minuti in scena” di Laura Chiossone e “Tutti i rumori del mare” di Federico Brugia, un noir psicologico molto particolare
Sono entrambi piccoli film prodotti con un basso budget, il secondo è stato distribuito anche a Milano, Roma, Torino e Firenze.
Produrre film low cost è l’unica speranza di far tornare i conti, non potendo più fare affidamento su lanci pubblicitari, grossi investimenti, ne sulla sala perché ormai ti giochi tutto nel primo weekend.
Arrivare nelle sale, che poi è solo l'inizio del percorso di un film per poi poter essere venduto in televisione e di conseguenza passare all'home video, è molto complicato.
Inoltre è completamente cambiata la filiera di visione di un film: ormai un film lo si vede in tanti modi diversi, una volta stava in sala mesi, ora dopo il primo weekend la gente non ci và, è già morto e il primo weekend dipende dal lancio pubblicitario e dall’idea di marketing più che dal valore del film in sé.
Ci sono dei casi eccezionali che devono servire da esempio per tutti come“Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti, un film di tre o quattro anni fa che non ha trovato assolutamente distribuzione, ma quando è stato distribuito, anche se da un solo esercente, il cinema Mexico,è stato in sala due anni e ha ottenuto dei risultati impensabili creando, oltre che un nuovo autore, quasi un nuovo modo di fare il cinema.
Un altro esempio clamoroso è quello di“Le quattro volte” del regista milanese Michelangelo Frammartino, un film che non è mai uscito nelle sale, ma che è stato riconosciuto come esempio di cinema coraggioso, indipendente e toccante.
In Italia le possibilità e gli autori per fare del cinema di qualità ci sarebbero, ma bisogna riuscire sia a far quadrare i conti che a incontrare il gusto del pubblico, proponendo un buon prodotto.

In una intervista sul film “La donna della mia vita” sostieni una tesi molto precisa: “..E’ fondamentale essere non invadenti con la regia.. non cercare la spettacolarità o l’inquadratura d’effetto” e specifichi meglio, facendo un esempio con la riuscita di un dialogo, per cui, in alcuni casi è più efficace fare una ripresa normalissima con la camera in mano per seguire gli attori, lasciando più flessibilità e spazio all’improvvisazione. Riuscire a decidere come e quando il mezzo tecnico è veramente a disposizione di quello espressivo. Questa misura e chiarezza compositiva di regia l’ottieni in una scuola di cinema o sul campo con l’esperienza?
E’ una cosa specifica rispetto a "La donna della mia vita”, io non volevo che la macchina da presa fosse invadente, poi è chiaro che se uno deve fare un’azione o un film spettacolare il discorso cambia.“La donna della mia vita” è un film di recitazione, di dialogo e di personaggi è penso sia stato giusto lavorarci in questo modo.
Io non ho fatto scuole di cinema, sono autodidatta. La mia esperienza viene dal campo e dalla vita di spettatore. Un regista si trova quasi istintivamente ad essere spettatore di quello che fa per capire se funziona o non funziona un certo tipo di ripresa o un’inquadratura rispetto a quello che sta raccontando. Ma è chiaro che questo è un discorso personale, ognuno ha la sua visione.

Per il tuo ultimo documentario “Per tutta la vita”, prodotto dalla The Family, hai prestato il tuo nome per l’ideazione di questa campagna contro l’AIDS, che con un finto casting, vuole sottolineare con forza come, potendo scegliere nessuno è disposto a contrarre il virus. Il risultato ha un impatto molto forte, un video ispirato a questa conclusione: “Puoi scegliere, proteggiti”. I registi si devono anche schierare politicamente e socialmente?
In realtà io ho prestato il mio nome per far credere che stessi cercando attori protagonisti per un nuovo documentario sull’AIDS, un’idea molto forte dell’agenzia The Family. Mi sono prestato perchè penso sia un tema sociale molto importante, mi è sembrato giusto dare il mio ok.
Di fatto non è stato girato nessun documentario, il prodotto finale è un montaggio dei provini a cui la gente ha partecipato pensando di poter diventare protagonista di un film.
Alla fine veniva chiesto all’intervistato:“ti dovranno iniettare per maggior realismo il virus dell’HIV, accetti o non accetti?” la domanda, ovviamente, lasciava tutti scandalizzati.
A proposito della questione relativa allo schieramento politico e sociale di un regista, è difficile generalizzare: ci può essere un regista che d’indole sua è più attivo politicamente, ma non è scontato.
A me i temi sociali interessano, infatti spesso faccio pubblicità per delle Onlus gratuitamente. Fra due settimane devo girare “Telefono Azzurro” e ho vinto un Leone di bronzo a Cannes quest’anno, con una campagna che supporta le famiglie che hanno dei bambini con tumore. Ho anche fatto per “Progetto Itaca” un’anteprima con donazione del mio film “L’uomo perfetto” che è andata molto bene. Non lo considero uno schierarsi ma fare semplicemente qualcosa di utile.

Ingaggiare attori come Luca Argentero o Riccardo Scamarcio è in parte anche una scelta di marketing, oppure è giusto lavorare spesso con gli stessi attori, nei quali in parte c’è una componente autobiografica, come Marcello Mastroianni, che è stato l’alterego di Fellini. Qual è il tuo rapporto con gli attori?
Trovo che sia sbagliato fare le scelte sugli attori rispetto all’idea di marketing, penso che sia giusto trovare l’attore adatto.
Quando ho scelto Riccardo Scamarcio non era per niente di moda; ha fatto i suoi primi due film importanti con me e ne sono contento.
Anche Luca Argentero quando l’ho scelto non era ancora un attore conosciuto, credo che il film “Solo un padre” lo abbia aiutato ad affermarsi, tanto che poi abbiamo fatto un altro film insieme.
La collaborazione continuativa tra attore e regista è molto importante, perché sai cosa puoi tirar fuori.
Io ho un ottimo rapporto con i miei attori, sia con mostri sacri come Michele Placido, Stefania Sandrelli, Giorgio Colangeli e Renato Pozzetto, sia con tutta la nuova classe di giovani. In Italia torniamo ad avere un parterre di attori molto interessante.
Forse inconsciamente negli attori che scelgo c’è una parte di me. È chiaro che ho inventato personaggi molto diversi e quindi non in tutti posso trovare elementi autobiografici, però sicuramente nell’attore giusto ci metti qualcosa di tuo nel raccontare quella storia, attraverso un bravo attore posso trasmettere la mia sensibilità ed emozione.

Kubrick e Woody Allen si sono confrontati con generi diversi, dal noir al film in costume storico, fino alla fantascienza. I fratelli Coen si sono misurati addirittura con il “Western”. Uno dei tuoi capolavori di riferimento è “Blade Runner”. Al di là dei costi, ti piacerebbe abbandonare per una volta la commedia e cimentarti in un altro esperimento cinematografico?
Penso che è quello che dovrebbero fare tutti.
Come Sam Mendes , regista di “American Beauty”, che è stato scelto per girare “Skyfall 007”, piuttosto che Christopher Nolan che ha diretto“Batman”.
Credo che mettersi in gioco facendo film di genere, diversi dalle tue corde, possa essere uno stimolo per fare qualcosa di alternativo e mettere in luce un lato di te più o meno forte.
Il problema è che in Italia fare questo è quasi impossibile, il cinema di genere, che stato una delle nostre forze del passato è sempre meno diffuso.

Oggi spesso i registi scelgono di collaborare con degli scrittori. L’ultimo film di Bertolucci, osannato dalla critica, è tratto dal romanzo “Io e te” di Niccolò Ammaniti. Anche tu per “Tre metri sopra il cielo”, hai scelto il romanzo omonimo di Federico Moccia. Trovare una storia da raccontare conduce inevitabilmente alla letteratura? Come ti ispira e come ti condiziona?
In tutto il mio percorso ho lavorato su progetti dei produttori.
Sia “Tre metri sopra il cielo” che “Solo un padre” tratto dal romanzo “The perfect skin” (di Nick Earls, un autore australiano), mi sono stati proposti dai produttori.
E’ molto interessante leggere un libro pensando ad una sceneggiatura, attraverso la storia inizi visualizzare e a capire più facilmente come potrebbe essere impostato il film.
Da sempre il cinema e la letteratura sono abbastanza vicini.
Se un libro ti prende dall’inizio alla fine, probabilmente è giusto per farci un film!
Infatti ho in cantiere altri due progetti tratti da libri...

Ad oggi hai già girato sei film e diversi cortometraggi, a quale dei tuoi lavori sei più legato?
Al prossimo! Ho due progetti bellissimi, come regista, molto difficili da mettere in piedi perchè ovviamente il periodo storico non aiuta, e quindi spero di riuscirci.
Uno è una sceneggiatura che ha vinto il premio Solinas, dello stesso autore del mio primo corto “Il sorriso di Diana” (quello che mi ha permesso di arrivare a fare cinema). L’altro lavoro è tratto da un romanzo francese che si chiama “Vietato” di Karine Tuil, un progetto internazionale da girare in Francia, molto complicato da mettere in piedi dall’Italia.

Hai girato molti spot pubblicitari di successo come “Sorelle d’Italia” per Calzedonia. Quali sono le differenze tra girare uno spot pubblicitario e un lungometraggio?
Fondamentalmente lo spot pubblicitario deve ammaliare con le immagini e spesso il contenuto è invece un po’ meno stimolante dal punto di vista narrativo, in sintesi devi vendere un prodotto.
E' interessante però dal punto di vista della messa in scena formale, della velocità del racconto, della suggestione che devi creare in pochi secondi, tutte cose che mi sono tornate molto utili anche nel cinema. In pubblicità non sei totalmente responsabile del risultato, perché ovviamente è un lavoro di tante persone: l’idea è dell’agenzia e il cliente interviene anche pesantemente sulle scelte di casting. Ovviamente questo nel cinema non succede, ti confronti con il produttore che vuole il miglior risultato per il film, non deve vendere solo un prodotto.

Per chiudere ci piacerebbe “rubarti” qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri… Hai qualche nuovo film in programma? Hai già in mente con quali attori ti piacerebbe collaborare? Hai mai pensato a Milano come possibile scenario per un tuo film?
In realtà sto pensando di fare dei film come produttore e stiamo cercando di mettere in piedi due progetti molto interessanti.
Con Gabriella Manfrè, la produttrice de “Le quattro volte”, sto lavorando per un film che sarà l’opera seconda di Francesco Fei, tratto dal romanzo cult americano “Mi chiedo quando ti mancherò”. Anche questo avrà un piccolo budget, ma gireremo in tutta Europa.
L'altro progetto, invece, è ancora un segreto! 



FILMOGRAFIA

Cinema
Tre metri sopra il cielo (2004)
L'uomo perfetto (2005)
Amore, bugie e calcetto (2008)
Solo un padre (2008)
Oggi sposi (2009)
La donna della mia vita (2010)

Cortometraggi
Il sorriso di Diana - Episodio del film Sei come sei (2002)
La notte bianca - Episodio del film Notte Bianca, tutto in una notte (2004)
Tuttosottocontrollo (2009)

Pubblicità
Baci Perugina (2007-2008)
Due cuori e un frigorifero - Campagna multisoggetto della linea di snack "Zero24 Beretta" (2009),
Calzedonia (2008–2009)
Illy Caffè - Caffè in capsule Iperespresso (2009)
Fratelli Orsero - Fratelli Orsero (2012)

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