CINEMA D'AUTORE E FILM COMMERCIALE: DUE PERCORSI CONCILIABILI
Dopo gli Oscar a Benigni e
Salvatores, il Cinema Italiano non ha goduto di grandi onorificenze e
di importanti riconoscimenti nei Festival in Europa e neppure a Los
Angeles. La capacità visionaria di Fellini, l’impegno esistenziale
di Antonioni, la denuncia morale di Rossellini, la favola neo
realista di De Sica e la complessa eleganza di Visconti sono come
altri, dei ricordi indelebili
ma confinati nelle cineteche e nel
passato dei cinefili italiani.
Nonostante l’apparente decadenza e
vuota ripetizione, c’è una nuova generazione di registi, come
Virzì, Comencini e Soldini, in parte già affermata, che non si
arrende e continua senza tregua ma senza ansie da protagonista, a
portare avanti con tenacia ed impegno, i suoi progetti
cinematografici.
Luca Lucini,
nato a Milano nel 1967, si è formato sui videoclips, gli spot e i
cortometraggi. Dopo il successo del film nel 2004, “Tre metri sopra
il cielo”, ci sono stati altri
lungometraggi, ultimo “La donna della mia vita” del 2010.
Luca Lucini non nega però, di avere
come modelli di equilibrio compositivo e di sintesi narrativa, i
grandi registi americani come Billy Wilder e Stanley Kubrick e i loro
film: “A qualcuno piace caldo” e “Barry Lindon” per esempio,
che sembrano perfettamente conclusi, senza poter aggiungere o
togliere nulla. Per ambire al raggiungimento di questi risultati,
bisogna coinvolgere tutti coloro che lavorano nella produzione, dalla
sala di registrazione, ai costumisti, agli scenografi. Per dirigere
questo complesso corale, deve esserci un direttore d’orchestra, che
si confronta, ma che lascia un’impronta indelebile della sua
personalità in ogni dettaglio è un marchio di riconoscimento
all’identità dell’opera. E il mistero del cinema di Lucini
continua ad ammaliarci.
Hai sempre sostenuto di essere
partito imparando dalla strada e questo rimane fondamentale per
trasmettere entusiasmo ai giovani. Fare video clips, in particolare
per autori esigenti come Edoardo Bennato, Giorgia, Ligabue e Laura
Pausini, è una palestra di esercizio stilistico e sintesi narrativa.
Cosa prendi e cosa lasci dai video clips nei tuoi film?
Consiglieresti lo stesso percorso oggi, a un giovane come anticamera
per il cinema? Tutto viene prodotto e pianificato al computer e forse
si abbassano i costi di produzione, ma il risultato non è più
asettico e plastificato?
Io ho
iniziato con la Filmmaster clip, con Marco Balich.
Sicuramente
dai video clips ho imparato molto, avevamo interpreti musicali che
spesso erano anche personaggi interessanti. Con una commissione
inventavamo delle storie, ma fare giornate e giornate di produzione,
gestire il set, capire cosa volevo riprendere e che cosa potevamo
girare, è stata per me una palestra molto utile.
Nel cinema
l'esperienza fatta con i video musicali mi è servita oltre che per
imparare a gestire il set, come dicevo, anche per “creare visioni”:
nel video clip molto del contenuto era spesso dato dalla forma,
dovevi immaginarti scene appariscenti, piuttosto che curare molto il
linguaggio delle inquadrature o della luce.
Questa
palestra la consiglierei ai giovani senz’altro, anche se oggi la
situazione è completamente diversa: quando ho iniziato io a fare
questo lavoro la richiesta dei video clips era enorme anche perché
i budget erano più consistenti, c'era l’esplosione delle
televisioni musicali in Italia, Videomusic era ormai una realtà
consacrata, nascevano MTV e Match Music, era un'esigenza per
qualsiasi prodotto discografico avere un video; adesso se lo possono
permettere solo i grandi musicisti, quelli che hanno contratti di
vendita molto molto grossi.
Ora c’è
un sottobosco di sperimentazione di piccoli video girati con macchine
fotografiche con effetti digitali, che è un’ esperienza utilissima
ed è giusto che ci sia, ma questa semplicità a produrre un
immagine, un prodotto video, da una parte è un grosso vantaggio,
dall’altro ovviamente limita un po' le professionalità.
Noi i primi
video clips li abbiamo girati tutti in pellicola, avevano una serie
di sacralità, di cerimonialità, di responsabilità , che non ci
sono più. Con un telefonino puoi girare anche un film volendo, è
più accessibile da una parte, dall’altra però non bisogna
dimenticare che alla fine a fare la differenza sono i contenuti e la
professionalità ma anche la passione e la voglia di mettersi
insieme.
In Italia, nonostante la nascita
di alcuni piccoli Festival di prestigio come quello di Taormina, non
esiste una manifestazione come Il “Sundance Festival” in Usa,
creato da Robert Redford, capace di veicolare il cinema indipendente,
di giovani autori, o che comunque si autofinanzia. Nel nostro paese
la situazione è critica per il Cinema: lo Stato è assente e se si
tralasciano alcune collaborazioni con le reti televisive e società
di produzione particolari, è quasi impossibile trovare per un
giovane finanziamenti per il primo film, soprattutto se non è
commerciale, nel senso tradizionale del termine. Cosa suggerisci in
proposito?
Io tutti i
miei sei film li ho girati con la casa di produzione Cattleya, ho
massimo rispetto del loro lavoro, ma adesso abbiamo fatto una
sospensione del contratto perché io per un periodo non volevo girare
film e ora devo decidere cosa voglio fare.
Sì, la situazione del cinema
d’autore in Italia è abbastanza drammatica, noi stessi stiamo
cercando di produrre o coprodurre dei piccoli film.
Abbiamo
avuto delle soddisfazioni all’estero, vincendo il Grand Prix della
giuria al festival di Annecy, molto attento al cinema italiano, con
“Tra cinque minuti in scena” di Laura Chiossone e “Tutti i
rumori del mare” di Federico Brugia, un noir psicologico molto
particolare
Sono
entrambi piccoli film prodotti con un basso budget, il secondo è
stato distribuito anche a Milano, Roma, Torino e Firenze.
Produrre
film low cost è l’unica speranza di far tornare i conti, non
potendo più fare affidamento su lanci pubblicitari, grossi
investimenti, ne sulla sala perché ormai ti giochi tutto nel primo
weekend.
Arrivare
nelle sale, che poi è solo l'inizio del percorso di un film per poi
poter essere venduto in televisione e di conseguenza passare all'home
video, è molto complicato.
Inoltre è
completamente cambiata la filiera di visione di un film: ormai un
film lo si vede in tanti modi diversi, una volta stava in sala mesi,
ora dopo il primo weekend la gente non ci và, è già morto e il
primo weekend dipende dal lancio pubblicitario e dall’idea di
marketing più che dal valore del film in sé.
Ci sono dei
casi eccezionali che devono servire da esempio per tutti come“Il
vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti, un film di tre o quattro
anni fa che non ha trovato assolutamente distribuzione, ma quando è
stato distribuito, anche se da un solo esercente, il cinema Mexico,è
stato in sala due anni e ha ottenuto dei risultati impensabili
creando, oltre che un nuovo autore, quasi un nuovo modo di fare il
cinema.
Un altro
esempio clamoroso è quello di“Le quattro volte” del regista
milanese Michelangelo Frammartino, un film che non è mai uscito
nelle sale, ma che è stato riconosciuto come esempio di cinema
coraggioso, indipendente e toccante.
In Italia le
possibilità e gli autori per fare del cinema di qualità ci
sarebbero, ma bisogna riuscire sia a far quadrare i conti che a
incontrare il gusto del pubblico, proponendo un buon prodotto.
In una intervista sul film “La
donna della mia vita” sostieni una tesi molto precisa: “..E’
fondamentale essere non invadenti con la regia.. non cercare la
spettacolarità o l’inquadratura d’effetto” e specifichi
meglio, facendo un esempio con la riuscita di un dialogo, per cui, in
alcuni casi è più efficace fare una ripresa normalissima con la
camera in mano per seguire gli attori, lasciando più flessibilità e
spazio all’improvvisazione. Riuscire a decidere come e quando il
mezzo tecnico è veramente a disposizione di quello espressivo.
Questa misura e chiarezza compositiva di regia l’ottieni in una
scuola di cinema o sul campo con l’esperienza?
E’ una cosa specifica rispetto a "La donna della mia vita”, io non volevo che la macchina da
presa fosse invadente, poi è chiaro che se uno deve fare un’azione
o un film spettacolare il discorso cambia.“La donna della mia
vita” è un film di recitazione, di dialogo e di personaggi è
penso sia stato giusto lavorarci in questo modo.
Io non ho
fatto scuole di cinema, sono autodidatta. La mia esperienza viene dal
campo e dalla vita di spettatore. Un regista si trova quasi
istintivamente ad essere spettatore di quello che fa per capire se
funziona o non funziona un certo tipo di ripresa o un’inquadratura
rispetto a quello che sta raccontando. Ma è chiaro che questo è un
discorso personale, ognuno ha la sua visione.
Per il tuo ultimo documentario
“Per tutta la vita”, prodotto dalla The Family, hai prestato il
tuo nome per l’ideazione di questa campagna contro l’AIDS, che
con un finto casting, vuole sottolineare con forza come, potendo
scegliere nessuno è disposto a contrarre il virus. Il risultato ha
un impatto molto forte, un video ispirato a questa conclusione:
“Puoi scegliere, proteggiti”. I registi si devono anche schierare
politicamente e socialmente?
In realtà io ho prestato il mio
nome per far credere che stessi cercando attori protagonisti per un
nuovo documentario sull’AIDS, un’idea molto forte dell’agenzia
The Family. Mi sono prestato perchè
penso sia un tema sociale molto importante, mi è
sembrato giusto dare il mio ok.
Di fatto non è stato girato
nessun documentario, il prodotto finale
è un montaggio dei provini a cui la gente ha
partecipato pensando di poter diventare protagonista di un film.
Alla fine veniva chiesto
all’intervistato:“ti dovranno iniettare per maggior realismo il
virus dell’HIV, accetti o non accetti?” la domanda, ovviamente,
lasciava tutti scandalizzati.
A proposito della questione
relativa allo schieramento politico e sociale di un regista, è
difficile generalizzare: ci può essere un regista che d’indole sua
è più attivo politicamente, ma non è scontato.
A me i temi sociali interessano,
infatti spesso faccio pubblicità per delle Onlus gratuitamente. Fra
due settimane devo girare “Telefono Azzurro” e ho vinto un Leone
di bronzo a Cannes quest’anno, con una campagna che supporta le
famiglie che hanno dei bambini con tumore. Ho anche fatto per
“Progetto Itaca” un’anteprima con donazione del mio film
“L’uomo perfetto” che è andata molto bene. Non lo considero
uno schierarsi ma fare semplicemente qualcosa di utile.
Ingaggiare attori come Luca
Argentero o Riccardo Scamarcio è in parte anche una scelta di
marketing, oppure è giusto lavorare spesso con gli stessi attori,
nei quali in parte c’è una componente autobiografica, come
Marcello Mastroianni, che è stato l’alterego di Fellini. Qual è
il tuo rapporto con gli attori?
Trovo che sia sbagliato fare le
scelte sugli attori rispetto all’idea di marketing, penso che sia
giusto trovare l’attore adatto.
Quando ho scelto Riccardo
Scamarcio non era per niente di moda; ha fatto i suoi primi due film
importanti con me e ne sono contento.
Anche Luca Argentero quando l’ho
scelto non era ancora un attore conosciuto, credo che il film “Solo
un padre” lo abbia aiutato ad affermarsi, tanto che poi abbiamo
fatto un altro film insieme.
La collaborazione continuativa tra
attore e regista è molto importante, perché sai cosa puoi tirar
fuori.
Io ho un ottimo rapporto con i
miei attori, sia con mostri sacri come Michele Placido, Stefania
Sandrelli, Giorgio Colangeli e Renato Pozzetto, sia con tutta la
nuova classe di giovani. In Italia torniamo ad avere un parterre di
attori molto interessante.
Forse inconsciamente negli attori
che scelgo c’è una parte di me. È chiaro che ho inventato
personaggi molto diversi e quindi non in tutti posso trovare
elementi autobiografici, però sicuramente nell’attore giusto ci
metti qualcosa di tuo nel raccontare quella storia, attraverso un
bravo attore posso trasmettere la mia sensibilità ed emozione.
Kubrick e Woody Allen si sono
confrontati con generi diversi, dal noir al film in costume storico,
fino alla fantascienza. I fratelli Coen si sono misurati addirittura
con il “Western”. Uno dei tuoi capolavori di riferimento è
“Blade Runner”. Al di là dei costi, ti piacerebbe abbandonare
per una volta la commedia e cimentarti in un altro esperimento
cinematografico?
Penso che è quello che dovrebbero
fare tutti.
Come Sam Mendes , regista di
“American Beauty”, che è stato scelto per girare “Skyfall
007”, piuttosto che Christopher
Nolan che ha diretto“Batman”.
Credo che mettersi in gioco
facendo film di genere, diversi dalle tue corde, possa essere uno
stimolo per fare qualcosa di alternativo e mettere in luce un lato di
te più o meno forte.
Il problema è che in Italia fare
questo è quasi impossibile, il cinema di genere, che stato una delle
nostre forze del passato è sempre meno diffuso.
Oggi spesso i registi scelgono di
collaborare con degli scrittori. L’ultimo film di Bertolucci,
osannato dalla critica, è tratto dal romanzo “Io e te” di
Niccolò Ammaniti. Anche tu per “Tre metri sopra il cielo”, hai
scelto il romanzo omonimo di Federico Moccia. Trovare una storia da
raccontare conduce inevitabilmente alla letteratura? Come ti ispira e
come ti condiziona?
In tutto il mio percorso ho
lavorato su progetti dei produttori.
Sia “Tre metri sopra il cielo”
che “Solo un padre” tratto dal romanzo “The perfect skin” (di
Nick Earls, un autore australiano), mi sono stati proposti dai
produttori.
E’ molto interessante leggere un
libro pensando ad una sceneggiatura, attraverso la storia inizi
visualizzare e a capire più facilmente come potrebbe essere
impostato il film.
Da sempre il cinema e la
letteratura sono abbastanza vicini.
Se un libro ti prende dall’inizio
alla fine, probabilmente è giusto per farci un film!
Infatti ho in cantiere altri due
progetti tratti da libri...
Ad oggi hai già girato sei film e
diversi cortometraggi, a quale dei tuoi lavori sei più legato?
Al prossimo! Ho due progetti
bellissimi, come regista, molto difficili da mettere in piedi perchè
ovviamente il periodo storico non aiuta, e quindi spero di riuscirci.
Uno è una sceneggiatura che ha
vinto il premio Solinas, dello stesso autore del mio primo corto “Il
sorriso di Diana” (quello che mi ha permesso di arrivare a fare
cinema). L’altro lavoro è tratto da un romanzo francese che si
chiama “Vietato” di Karine Tuil, un progetto internazionale da
girare in Francia, molto complicato da mettere in piedi dall’Italia.
Hai girato molti spot pubblicitari di successo come “Sorelle d’Italia” per Calzedonia. Quali sono le differenze tra girare uno spot pubblicitario e un lungometraggio?
Fondamentalmente lo spot
pubblicitario deve ammaliare con le immagini e spesso il contenuto è
invece un po’ meno stimolante dal punto di vista narrativo, in
sintesi devi vendere un prodotto.
E' interessante però dal punto di
vista della messa in scena formale, della velocità del racconto,
della suggestione che devi creare in pochi secondi, tutte cose che mi
sono tornate molto utili anche nel cinema. In pubblicità non sei
totalmente responsabile del risultato, perché ovviamente è un
lavoro di tante persone: l’idea è dell’agenzia e il cliente
interviene anche pesantemente sulle scelte di casting. Ovviamente
questo nel cinema non succede, ti confronti con il produttore che
vuole il miglior risultato per il film, non deve vendere solo un prodotto.
Per chiudere ci piacerebbe
“rubarti” qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri… Hai
qualche nuovo film in programma? Hai già in mente con quali attori
ti piacerebbe collaborare? Hai mai pensato a Milano come possibile
scenario per un tuo film?
In realtà sto pensando di fare
dei film come produttore e stiamo cercando di mettere in piedi due
progetti molto interessanti.
Con Gabriella Manfrè, la
produttrice de “Le quattro volte”, sto lavorando per un film che
sarà l’opera seconda di Francesco Fei, tratto dal romanzo cult
americano “Mi chiedo quando ti mancherò”. Anche questo avrà un
piccolo budget, ma gireremo in tutta Europa.
L'altro progetto, invece, è
ancora un segreto!
FILMOGRAFIA
Cinema
Tre metri sopra il cielo (2004)
L'uomo perfetto (2005)
Amore, bugie e calcetto (2008)
Solo un padre (2008)
Oggi sposi (2009)
La donna della mia vita (2010)
Il sorriso di Diana - Episodio del
film Sei come sei (2002)
La notte bianca - Episodio del film
Notte Bianca, tutto in una notte (2004)
Tuttosottocontrollo (2009)
Baci Perugina (2007-2008)
Due cuori e un frigorifero - Campagna
multisoggetto della linea di snack "Zero24 Beretta" (2009),
Calzedonia (2008–2009)
Illy Caffè - Caffè in capsule
Iperespresso (2009)
Fratelli Orsero - Fratelli Orsero
(2012)
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